mercoledì 27 gennaio 2016

Sulla spiaggia di Mondi sconfinati

Ritorno a scrivere dopo 4 mesi questo blog.
Da fine settembre a metà dicembre sono stato a Doha e ho visto crescere Frida attraverso le foto e i video che simona mi inviava quotidianamente. Ho osservato la sua vita in differita contando i giorni che mi separavano da lei e da sua madre. 

Quando sono arrivato a casa sul divano c'era un'altra Frida rispetto a quello che avevo lasciata. Logicamente più grande e infinitamente più bella di quella che mi mostravano i video verticali di mia moglie. Lei ha pianto, io ho avuto una specie di tuffo al cuore: quella sensazione che avverti quando senti collassare qualcosa in te e il calore che si sprigiona è simile a quello di una piccola fusione nucleare interiore. 

16 gennaio
Ora mentre scrivo è qui vicino a me, seduta sul divano e capace di reggersi da sola. Emette suoni che possono essere definiti "gargarismi espressionistici" che strapperebbero una risata anche a un gerarca nazista e che prefigurano il suono della sua "prossima voce". 

Poi ruzzola sulla schiena e comincia ad afferrarsi i piedi in una posa tratta direttamente dal manuale del perfetto neonato da fotografare. dura pochi secondi ed eccola cercare di afferrare un giocattolo dalla forma improbabile e dai colori così kitsch che sembrano partoriti da uno stilista di modamare positano. Lo prende e lo porta alla bocca. È la "fase orale": la percezione del Mondo animale, attraverso il senso del gusto, attraverso il sottile piacere del mordere, succhiare e strappare. 

I bambini hanno un arco di attenzione che è pari a quella che avevo io durante le lezioni di matematica e trigonometria. Molto vicino allo zero. Ricordo che appena la simpaticissima prof (si, lo era come un'eruzione cutanea un'ora prima di un incontro galante) faceva incontrare il gesso con la fredda superficie della lavagna cominciando a disegnare geroglifici di parentesi graffe e frazioni, la mia mente si imbarcava in un viaggio senza ritorno verso l'isola delle piacevoli distrazioni, dove le bianche pecorelle facevano "ciao" ad Heidi. E da allora "derivate" e "limiti" sono diventate parole in libertà senza nessun senso. ancora oggi.

Heidi in una immagine di repertorio, quando era felice

Quello che voglio dire che oggi che compie sei mesi realizzo quanto Frida sia cresciuta e quante piccole grande conquiste abbia fatto. Giorno dopo giorno diventa più consapevole della sua "umanità" e noi più coscienti della sua presenza nella nostra vita. 

È come "incontrarsi sulla spiaggia di Mondi sconfinati" (citando le bellissime parole del poeta Tagore). È un incontro  che parte da lontano, fatto di piccoli passi, silenziosi. Di orme che si muovono da orizzonti distanti e lontani. Sopra di noi il cielo vagante dei giorni e tutt'intorno l'odore del Mare, il suono delle piccole grida gioiose di Frida e un accenno di alba. Quella di un futuro in cui le nostre orme saranno sempre più vicine, le une accanto alle altre o incrociate in nome di una traiettoria comune. 

Lì su quella spiaggia di Mondi sconfinati...






giovedì 24 settembre 2015

Il Pianto e il Sorriso: la lingua segreta del neonato

Ora che Frida ha quasi due mesi mi appare più chiara la posizione di un neo-genitore.

È una posizione da acrobata, in bilico, alla ricerca di un equilibrio su quel filo teso tra due sponde che portano nomi suggestivi e antichi: Sorriso e Pianto.

Frida - 19 settembre
Molti definiscono quella della genitorialità un’avventura. Mi sembra pertinente. Portare alla luce un figlio è "un'impresa costellata di rischi, ma assolutamente attraente e piena di fascino per ciò che vi è in essa d’ignoto o d’inaspettato". Così definisce Treccani l'avventura e mi sembra - parola per parola - il dipinto fedelissimo dell'esperienza di un genitore. 

E l'avventura è spesso un viaggio. Uno di quelli memorabili, uno di quelli che attraverso il pericolo e  la gioia della scoperta: ti scortica delle tue abitudini, ti mette di fronte a un nuovo "te stesso", ti scombina tutti i punti sulle i, ti capovolge il tavolo su cui stavi giocando le tue carte, ti fa muovere il culo pesantemente adagiato nella tua "comfort zone". 

Avere un figlio ti fa morire un po' meno, ogni giorno. Se è vero, e io sono convinto che lo sia, che si decede lentamente, goccia a goccia, se non si ha il coraggio di mettersi in gioco e di darsi in pasto al rischio (questo non significa che l'unica strada per evitare la morte a piccole dosi sia diventare genitori, ci sono infiniti modi per raggiungere questa magnifica rivoluzione permanente).

E in quanto "viaggio" l'essere padre mi è parso da subito un cammino a tappe, fatto di punti di arrivo  e di ripartenza (spesso coincidenti).

 I primi 20 giorni sono quelli del frastornamento. Quelli in cui ho accolto nella mia vita lo tsunami di morbida pelle che è Frida. È come prendersi un'onda in piena faccia. Ma lei si è aiutata a farsi volere bene. Dormendo, non strepitando, alternando con giusto equilibrio sonno e piccola veglia per cibarsi dal seno di Simona. 

Dopo queste prime tre settimane di silenzioso adattamento reciproco senza danni, la piccola ha "aperto gli occhi". Ha cominciato a tirar fuori le unghia per aggrapparsi alla schiena del tempo. Non si accontenta più di dormire e mangiare, ma ha cominciato a "chiedere e pretendere".

È così che abbiamo fatto conoscenza con il potere malefico del Pianto. Questa comunicazione primitiva e senza compromessi che ha la capacità di scavarti la pelle, la carne e arrivarti alle ossa per scuoterti senza pietà. Senza considerazioni delle tue stanchezze, delle tue idiosincrasie, dei tuoi tempi, dei tuoi stati d'animo. Abbiamo cominciato a conoscere l'indifferenza del pianto che nei primi giorni ti appare una (non)lingua incomprensibile che è così essenziale da essere inadeguata all'essere umano. È come se fosse un linguaggio con una sola parola che contenesse tutti i significati possibili.

Ma i giorni passano e già superata la boa del primo mese è come se avessi affinato un senso ulteriore: quello che ti permette di distinguere e scomporre l'essenzialità di quel pianto (che poi se si riflette non si discosta dall'imparare davvero una nuova lingua di cui all'inizio non riesci a riconoscere neppure dove finisce una parola e inizia la successiva). Ti comincia ad apparire più ricco di sfumature e di significati. Riesci a dare un senso a quei suoni così acuti che sei sicuro siano stati creati apposta per spappolarti il cervello. 

Naturalmente finisci per temere il pianto e il tuo scopo quotidiano, come genitore, diventa sciogliere quel nodo di dolore che stringe la gola di tua figlia. Rispondi al suo allarme con la solerzia di un nostromo a cui si chiede di portare fuori la sua barca da una tempesta perfetta.

Frida - 22 agosto
Come dicevo all'inizio però c'è l'altra sponda. C'è il Sorriso. Si forma più lentamente nei nostri giorni, ma quando sboccia le prime volte sulle labbra di Frida (e questo sono certo vale per chiunque abbia un pargolo in casa) è come se la primavera mostrasse il suo volto nascosto. Il sorriso di un neonato è un concentrato di stupore. È la rivelazione dell'umanità del tuo bambino.

Il pianto è animale, il sorriso è tutto della nostra specie. Il pianto è egoista, il sorriso è un arco sociale lanciato tra te e un essere umano appena coniato. Il pianto è un grido, il sorriso è un sussurro. 

Quello che trovo affascinante è vedere come cresce quel suo Sorriso. Come si rafforza, come si edifica a partire dalla fondamenta di un accenno di smorfia. Frida ha avuto quell'accenno sin dalle primissime ore della sua vita. Ma non significa nulla. Il suo vero sorriso nasce tra il 45° e il 50° giorno. Da allora è un continuo raffinarsi, un continuo apparire, un continuo rispecchiamento nelle nostre piccole risate ebeti di genitori e parenti ridotti allo stato di poltiglia emotiva. 

Ma cosa c'è di così sorprendente in un sorriso di un neonato? È sicuramente il sentirsi finalmente in contatto. E senza dubbio la consapevolezza che in quell'attimo tua figlia sta vivendo una piccola felicità, un "quanto" di benessere che è l'antimateria del pianto. E il pianto è il tuo nemico, come ho detto prima.

Siamo appesi a quei sorrisi noi genitori. Ne diventiamo drogati. "Smileaddicted" ci potremmo definire con un termine anglo-chic. Siamo lì che facciamo di tutto per vederlo fiorire su quel volto che è un prato di amore infinito. E quando spunta ci inebriamo col suo profumo, lo cogliamo subito e ce lo teniamo stretto, prima di una nuova attesissima dose. 









mercoledì 16 settembre 2015

Filastrocche, contorsioni e tattiche di addormentamento

Ho appena adagiato la piccola Frida nella sua culla.

Adagiare è la parola esatta per rendere al meglio quel complesso e delicatissimo insieme di movimenti sussultori e ondulatori che dall'alto della braccia con una lentezza esasperata - immaginate il super rallenti che Sky propone per una partita di calcio in cui si vede anche la goccia di sudore staccarsi in venti lunghissimi secondi dai capelli del centravanti di turno  - conduce il corpicino in balia del sonno dentro la culletta. 

Cerco pure di non respirare, mi profondo in movimenti  degni di una contorsionista bielorussa, diminuisco i battiti del cuore pur di non rovinare il paziente lavoro di svariati minuti che hanno consegnato Frida al mondo dei sogni. Un Mondo che può deflagrare per un nonnulla e che ti riporta al fatidico momento in cui è di nuovo sveglia.

Frida (particolare della mano) - 25 agosto

Anche stasera mi è capitato. Avevo lavorato ai fianchi la bimba con i miei tre cavalli di battaglia: tre "ninna nanna" (meglio dire "Nursery rhymes" - cioè filastrocche) cantate in inglese che ho imparato e le propino a ripetizione (con lei la maggior parte del tempo parlo in inglese e canzoni e filastrocche mai in italiano). 

La prima è TWINKLE TWINKLE LITTLE STAR e parla di una stellina luccicante e di un bambino che non capisce cosa sia. è una filastrocca dal ritmo molto blando che a volte finisce per addormentare più me che lei. 

La seconda (e mia preferita) è HUSH LITTLE BABY. È una filastrocca del tutto surreale e senza senso che devo assolutamente raccontarvi. Parla di un padre disperato che cerca di non far piangere la propria bimba e per far questo le regala prima un tordo americano che canta (!) Ma le dice che se non dovesse cantare allora le darà in dono un anello di diamanti [ah si comincia bene...]. Questi però potrebbe tramutarsi in ottone e allora a questo punto le regalerebbe uno specchio [certo che passare da un gioiello a uno specchio non mi sembra una mossa gentile e generosa]. E anche questo potrebbe avere problemi cominciando a "creparsi". E allora il padre premuroso cosa fa? le prende un Caprone!  [chi non regalerebbe un "billy goal" a sua figlia!] Però questo simpatico animale potrebbe rifiutarsi di trainare. Il padre disperato non si perde d'animo e pur di zittire la figlia passa a prenderle un carretto con bue. Ma siamo in una filastrocca pessimista, quindi il carretto potrebbe rovesciarsi. Per amor di figlia (e di rima sopratutto) il dolce papà le prende un cane di nome Rover. E indovinate che succede? Rover non abbaia. E io e voi diremmo: meglio! No, il padre di questa bambina decide che non è giusto che un cane non abbai e quindi se dovesse accadere questo malaugurato silenzio passerebbe all'ultimo regalo: un carretto con cavallo (questa volta). Logicamente ci troviamo di fronte a un nuovo fiasco: il carretto col cavallo ha buone possibilità di cappottarsi. E a questo punto la filatrocca come si conclude? Con lui che dice alla piccola che resta comunque la più dolce bimbetta della città. [sinceramente a me pare che una tipa che per zittirsi ha bisogno di tutte queste cose è più una stronzetta che uno zuccherino]

Di solito Hush Little Baby funziona bene, ma non sempre. E allora il mio repertorio si è ingrandito con THE WHEELS ON THE BUS. Non ve la faccio lunga, ma è la filastrocca di un autobus e delle sue varie parti con varia gente a bordo. Ha molto ritmo e di solito riesce a mettere a nanna la piccola Frida.

Frida 2 settembre
Comunque dopo aver tenuto in braccio la piccola Frida (che diventa sempre meno piccola. siamo al 50° giorno, pesa già 5.3kg e ha un'altezza ragguardevole, tanto che il pediatra oggi ci ha detto - leggendo i famigerati "percentili di crescita" - che con il suo 97% ha pochi rivali della sua età in salerno e provincia) ed essermi causato una necrosi degli arti, cantando (così stonato che credo che si addormenti per non sentirmi più) e camminando per le stanze di casa: finalmente ha chiuso gli occhi.

Come dicevo: vado a deporla in culletta - con la dovizia che un calligrafo giapponese mette nella cura del disegno di un kanji - e appena tocca la superficie morbida del materassino sento lo scatto delle palpebre e i suoi immensi occhi (per ora azzurri) mi fissano come i fanali di un auto aggressiva che sta per investirti.

Io la guardo a mia volta, quasi fossi un ladro che è stato appena colto in flagranza di delitto. Lei sembra dirmi: "ma cosa diavolo stai facendo? Rimettimi su!" (a volte immagino Frida come se fosse Stewie dei Griffin).

Annuisco e la riporto tra le braccia ricominciando il valzer delle filastrocche assurde. E riesco di nuovo a farla crollare. E qui arriviamo all'inizio della storia (ovvero di questo post), quando ho appena adagiato la piccola in culla. Ma sento già dei rumori sospetti venire a galla minacciosi da quel lettino... mi sa che .... 





domenica 30 agosto 2015

5 motivi per cui voglio una figlia bilingue

La mia prima mission (non così impossible) è fare di Frida di una bambina bilingue.

Devo darle questa chance, devo metterla in condizione di vivere un futuro che somigli a una stanza con tante porte e non a uno sgabuzzino dove l'unica uscita ha sopra una etichetta scritta in italiano. 

Mi sto documentando tantissimo, come è nel mio spirito e nella mia indole, sul come farlo al meglio. Sono approdato da poco a un libro che mi sembra formidabile THE BILINGUAL EDGE "(il vantaggio bilingue") il cui sottotitolo recita "Why, When, and How to teach your child a second language". Finalmente oggi mi è arrivato direttamente da Londra (e con mia grande sorpresa anche autografato dalle due autrici, docenti di linguistica alla Georgetown University: Kendall King e Alison MacKey).

27 agosto - "The Bilingual Edge" nelle mie mani 

Sento scorrere in me fiumi caldi di dopamina (conoscete no? il neurotrasmettitore che regola tra le altre cose il "piacere" e la ricerca del godimento), come ogni volta che intraprendo una nuova strada che mi stimola.

Ho tempo e voglio dedicarlo allo studio di un metodo efficace per trasferire a mia figlia quella lingua inglese che: (uno) mi piace da impazzire, (due) parlo e capisco ormai con discreto successo e (tre) è utile come avere due occhi in un mondo di mezzi orbi. O come avere un paio di extra-vite in un videogame prima di affrontare lo scontro finale con il Mostro dell'ultimo livello.  

Ma prima di inoltrarmi in un cammino che mi entusiasma e di cui voglio rendere partecipi tutti coloro che leggono questo blog, voglio anche capire per bene perché è importante dare questo "edge" ai propri figli.

Mi aiuto con quello che ho imparato da quelle che chiamerò confidenzialmente Kendy e Ally (le due PhD, professoresse autrici di questo bel libro). Ecco i cinque motivi per cui è CRUCIALE allevare figli bilingue.

1. Persone con una conoscenza avanzata di due o più lingue di solito sono più creative.

Diverse ricerche lo hanno provato ed ormai è scientificamente acclarato, ma io ne ho fatto esperienza sulla mia stessa pelle. Lavorando a Doha (in un ambiente di lavoro in cui linguisticamente parlando, mi sento come Pippo - l'amico di Topolino - ad un convegno di ingegneri aerospaziali)  mi sono reso conto di quanta creatività sgorghi in chi è bi o tri o quadrilingue (oddio questi sono mostri). Non solo, basti pensare ai tanti scrittori che hanno usato il loro bilinguismo a favore della loro ispirazione creativa (da Isabelle Allende a Emil Cioran, da Salman Rushdie a Yoko Tawada che a proposito del suo trilinguismo ha scritto: "Quando tu crei una connessione tra due parole che sono distanti enormemente, nella tua testa si produce una sorta di elettricità. C'è un flash di luce, una sensazione di pura meraviglia").

2. Conoscere due lingue dà ai bambini un vantaggio cognitivo

Come si misura questo vantaggio? per esempio con una consapevolezza metalinguistica più sofisticata rispetto a chi parla una sola lingua (e non parliamo poi di quei poveri innocenti massacrati da genitori che parlano solo in dialetto. Quelli per me sono sottosviluppati - parlo dei parenti - e quindi non li prendo nemmeno in considerazione). Questa consapevolezza altro non è che la sensibilità al fatto che il "linguaggio" è un sistema che può essere analizzato e con cui si può "giocare". Per esempio bambini che crescono nella culla di più lingue sanno apprezzare meglio battute, puns (cioè giochi di parole) e metafore. Un esempio concreto sono i miei grandi amici: i fratelli Guarino. Donato, Gerry e Tony. perfetti esempi di persone bilingue e grandi amanti del gioco di parole, immenso senso dell'umorismo ed estrema sensibilità alle articolazioni del linguaggio. 

Tra l'altro la consapevolezza metalinguistica crea vantaggi pratici scientificamente testati: ti rende più veloce nella capacità di leggere, nel memorizzare parole e apre la strada a una maggiore raffinatezza nel concepire una frase grazie a una migliore conoscenza dei sinonimi. 

3. I bilingue sono più focalizzati sugli obiettivi

Proprio in questi giorni, durante le mie sgroppate a cavallo di tanti siti e forum trovati online per accumulare conoscenze sull'argomento, leggevo di alcuni test in cui si prova decisamente che chi conosce due lingue "batte" i monolingua (sembra una tribù indios) in quegli esperimenti che richiedono di ignorare informazioni distraenti. In poche parole i bilingui sono più bravi nel focalizzarsi sugli obiettivi richiesti, eliminando i dettagli fuorvianti. 


4. Imparare un'altra lingua rafforza la comprensione interculturale

Tempi di sbarchi tragici e di immigrazione dolente. Tempi di spostamenti da un Paese all'altro. Di viaggi. Di incontro e scontro culturale. E credo conveniate con me: capire una cultura è difficile senza capirne il linguaggio. Anche in questo caso le ricerche parlano chiaro: quando i bambini imparano una seconda lingua è più probabile che sviluppino una attitudine positiva verso coloro che parlano quel linguaggio. Non solo: visto che noi facciamo esperienza del Mondo attraverso il linguaggio, conoscere un'altra lingua ci aiuta a capire che esistono altre prospettive su come si percepisce ciò che c'è intorno a noi. E quindi a rispettare punti di vista alternativi.

In poche parole imparare una lingua ti rende meno spaventoso il "diverso" e ti prepara ad essere un cittadino del Mondo più civile, rispettoso e comprensivo. E non è poco, perché questo impatta non solo su tuo figlio / tua figlia, ma idealmente sulla società stessa.

5. Il bilinguismo ti assicura, senza dubbio, un vantaggio formativo e nella carriera lavorativa

Non c'è nemmeno bisogno di commentare questo punto.


Ma per raggiungere tutto questo e far fruttare i 5 vantaggi non basta che nostra figlia sappia dire "hallo" e "good morning" e sia capace di contare fino a 10 in inglese (quante volte abbiamo sentito il genitore orgoglioso chiedere al suo bambino - che intanto ha i testicoli su una carriola per quanto si sono gonfiati a furia di sentirselo dire : "dai... fai sentire come sai contare fino a dieci. One, two...).

Perché il bilinguismo sia vero è necessario che il bambino abbia una avanzata competenza in due lingue. E questo non l'ottieni piazzandoli davanti alla tv dove i Teletubbies o Peppa Pig lo rincoglioniscono (seppur in inglese). Nè con una esposizione modesta alla lingua straniera: vedi mezz'ora di inglese in classe una volta a settimana (spesso con docenti che parlano la lingua anglosassone come io mi intendo di calcestruzzo)

In poche parole sarà un bell'impegno da condurre con applicazione scientifica. Ma io sono pronto e ne ho voglia. Nella prossima puntata con l'aiuto di Kendy e Ally cerchiamo di capire insieme i 10 miti da sfatare sull'insegnamento della seconda lingua. Sempre se vi interessa!






giovedì 27 agosto 2015

Un figlio cambia la vita?

Oggi Frida compie un mese. 

Le date per noi esseri umani hanno un valore trascendentale. Le ricorrenze vanno segnate, celebrate, festeggiate, nominate, fotografate, incasellate. Alla resa dei conti il TEMPO se ne frega di queste nostre psicosi numeriche, ma siamo esseri umani: in qualche modo dobbiamo crearci l'illusione di poter "controllare" il più incontrollabile degli elementi della nostra esistenza. Il Tempo, appunto.

Ma non è di questo che voglio parlare in questo pezzo di blog. Ho intenzione di affrontare, alla distanza simbolica di un mese appunto, quello che è la frase-monito più ricorrente al momento della tua decisione di avere un figlio, quando comunichi al Mondo che avrai un figlio, quando avverti tutti che hai avuto un figlio, quando presenti in "società" un figlio. Il monito è:

ADESSO LA TUA VITA CAMBIERÀ (pezzo di pianoforte enfatico e lugubre, beethoveniano. Lampi e tuoni. Risata mefistofelica in filigrana). 

Frida 18 agosto

Ora provate a chiedermi: Manlio ma la tua vita è cambiata, vero?
Io vi rispondo senza pensarci due volte: No, non è cambiata.

E non lo dico per spirito di contraddizione, né per inclinazione naturale a provocare. È proprio che non trovo gli elementi che mi segnalino con precisione un "turning point" concreto, visibile, preciso. 

Volete la verità più cruda: me l'ha cambiata più il mio border Elrond la vita in quell'ormai lontano (purtroppo) 27 dicembre 2009, quando è entrato in casa nostra con quell'espressione timida e l'andatura frastornata (di lì a poco si sarebbe trasformato in uno dei setti demoni dell'apocalisse). 

Ecco le prove. Per Elrond ho dovuto cambiare prima l'auto. La mia bella New Beetle Cabrio Volkswagen era troppo stretta per il trasportino, troppo scomodo per il tettuccio apribile, troppo vomitofila (sì ormai il mio cucciolo rigettava con fiotti alla "esorcista" al solo vederne le chiavi). Ed ecco che arriva una squallidissima Megane Scenic color Ratatouille  metallizzato. Dopo un po' ho dovuto rinunciare al mio appartamento molto "fancy" al centro di Salerno per una casa in paese. Non era più sopportabile farsi una montagna di scale senza ascensore per andare in luoghi senza verde e senza speranza. 

L'arrivo di Frida non ha comportato smottamenti del genere. Certo ho cambiato casa, spostandomi in una bella villetta con giardino, ma l'avrei fatto a prescindere. Anche perché il giardino è essenzialmente appannaggio di Elrond. 

Questo per parlare di "cose". Di "materia". Ma quello che Elrond ha portato nella mia vita è stato un cambiamento radicale nel vedere il Mondo. Questa è un'altra storia, ma se adesso ho un rapporto così viscerale con la Natura e so riconoscere con certezza e al volo un Callistemon, un Ornello, un Faggio, un Ontano e così via, lo devo esclusivamente all'entrata nella mia vita di un cane splendido come il mio border. E così il rispetto per gli animali e per la singola vita di ogni essere vivente (ad esclusione degli insetti che continuo a trucidare senza pietà se appartenente alle luride specie che detesto: scarafaggi e affini o zanzare e derivati. sono uno specista? sì e con orgoglio. a differenza di coloro che mettono le mani avanti dicendo: "non sono razzista". per poi dire: "però i "neri" non li sopporto"). 

Frida 16 agosto
L'arrivo di Frida nei miei giorni, come scrivevo in un altro pezzo del blog, è per me un'amplificazione non una rivoluzione della mia esistenza. Sempre per restare nella "quantificazione" dei fatti: lei non mi ha tolto la possibilità di uscire la sera. Io non esco da anni, non ho mai amato l'uscita da fermo (cioè se sono in viaggio niente mi può costringere a restare chiuso in camera. Voglio vedere il mondo, ma se devo fare le "vasche" in giro per i posti che conosco da una vita, allora preferisco l'acquario della mia casa). 

Frida non mi ha privato della possibilità di leggere. Anzi ad agosto mi sono scolato 3 libri e il quarto lo sto leggendo in questi giorni, spesso con lei che dorme accanto a me o dentro il mio abbraccio. Vedo film come prima. Prendo il sole in giardino. Incontro gli amici. Vado a correre con Elrond allo stadio al mattino e gioco con lui a calcio nel tardo pomeriggio. Elaboro le mie ricette di cucina (marmellate e creme di nocciola su tutto). E così via. Tutto senza variazioni apprezzabili. 

E soprattutto dormo. Dormo la notte come prima. E anche se non dovessi farlo non è un cruccio. Ho sempre trovato il sonno una incombenza di cattivo gusto: necessaria, ma noiosa. 

Certo già sento le obiezioni:

1. Quelle dei profeti di sventura: "è ancora presto, poi vedrai"
2. Quelle dei filosofi speleologi: "il cambiamento è in te. Nel profondo"
3. Quelle dei mistici: "Sei già cambiato e non te ne rendi conto"
4. Quelle alla Winky Wonka (il direttore della Fabbrica di Cioccolato): "Ti sei già squagliato con tua figlia"
5. Quelle dei silenziosi moralizzatori:  (silenzio, ma con sguardo severo)

Non voglio dire che l'arrivo di un figlio o di una figlia sia un sorso di acqua fresca. Non è un alito di vento che appena avverti in casa. L'impatto emotivo è altissimo, ma io per natura tendo a non drammatizzare nulla. 

Noi cambiamo di continuo. Come con costanza cambia la nostra vita. Gli aforismi si sprecano. Da quello di Ludwig Börne: "Niente è duraturo come il cambiamento" al quello bellissimo del Buddha: "“Tutto cambia, nulla resta senza cambiamento”. Ma senza scomodare pensatori e frasi celebri tutti noi sappiamo che qualsiasi cosa ci accada di minimamente straordinario finisce col "cambiarci la vita". Allora perché stare a sottolineare di continuo che "proprio" diventare genitori ti cambia la vita. È una ridondanza. Una esasperazione. Si è sempre detto così e si continua a dirlo perché è naturale dirlo. C'è troppa enfasi rispetto all'arrivo di un figlio. C'è troppo fermento emotivo. C'è troppo "luogo comune". 

E invece non c'è luogo così fuori dal comune che la relazione unica e senza stereotipi con la propria figlia. O il proprio figlio. Io amo Frida, non mi sciolgo per lei. Non perdo la testa, ma ritrovo parti di me che non conoscevo. Questo è tutto. E forse non è poco. 

P.s. giuro solennemente che non dirò mai a un neo-papà : "tuo figlio (tua figlia) ti cambierà la vita". Al limite gli dirò: te la divarica l'esistenza, te la esalta, te la insaporisce. 










mercoledì 19 agosto 2015

Cronaca di una notte interrotta

Sono le 6:27 e scrivo dalla mia cucina al primo piano. Scatto anche una foto. Voglio farvi sedere accanto a me. Voglio farvi sentire il caldo silenzio che ora è sceso in casa. A pochi centimetri da me  (fuori campo) la culla-navicella in cui sembra abbia trovato pace Frida dopo due ore di veglia coatta.


Scrivo piano, battendo i tasti con la delicatezza con cui una ricamatrice fiamminga confeziona il suo merletto prezioso. Ho paura di ritrovarmi improvvisamente dentro uno "strepito" della piccola, a tu per tu con una nuova veglia

Questa è la prima notte dal suo arrivo nella vita in cui sono stato costretto a sacrificare sull'altare della genitorialità un pezzo del mio sonno. Poca roba certo, ma voglio rendervi partecipi dello stato d'animo di un padre in erba appena uscito dalla trincea di una notte interrotta. 

Sul viso di molti di voi che ora leggono queste righe mi sembra già di vedere chiaramente  quel "sorrisino" sornione di cui ho già parlato altrove e che sfigura la faccia fino a farla diventare una maschera di un Joker da condominio. Quel sorrisino che dice: "te lo avevo detto che non si dormiva". Oppure "eh quante volte ci sono passato". O ancora "si certo e vedrai ancora". Fino al subdolo: "hai voluto la bicicletta e ora...

Passo sopra al sorrisino, sperando di non averlo mai in dote per il futuro e di non indossarlo quando altri esseri umani di mia conoscenza si imbarcheranno timorosi o sfrontati sulla barca dove da poco ho cominciato il mio viaggio.

Ma ora via alla cronaca. 

Ore 4:15 La sveglia. una serie di suoni terrificanti, degni della mutazione umana in demone di un film horror di serie B, afferra me e Simona dal sonno in cui siamo calati da circa tre ore per scaraventarci nella veglia. Frida si sta risvegliando. Il "mostro" esce dalla caverna. Io ho la fortuna di non amare dormire, anzi la trovo una necessità piuttosto seccante, ma certo se mi svegli così all'improvviso non puoi aspettarti da me una gran lucidità. Quindi come un goffo insetto mando in perlustrazione uno dei miei arti sul tavolinetto alla ricerca del cellulare per capire di che ora si tratta. Mi volto verso Simona chiedendo con tono da ubriaco fradicio se è l'ora della poppata. Lei mi dice, e la sua voce è  impastata non meno della mia, che già l'ha fatta pochi minuti fa. Panico. E ora che si fa? 

Nota per chi non ha figli: il metodo principe per far piombare i neonati nel sonno è attaccarli al seno materno e lì a colpi di latte e poppate si spengono con faccia da ebete, come se avessero bevuto un liquido ipnotico o come se avessero appena spippato dell'oppio cinese. 

ore 4:20 La scoperta. Simona mi chiede di prendere Frida, lei è demolita. È stata da poco prosciugata e allattare stanca (potrebbe essere il titolo di un libro che fa il verso a quel capolavoro di Cesare Pavese che è "Lavorare Stanca"). Io mi alzo con la grazia di un alpinista che vuole danzare l'ultimo atto del Lago dei Cigni. Vado alla culla e nel prendere Frida mi accorgo che c'è una macchia bagnata sulla sua tuta all'altezza della gamba sinistra. Intanto Elrond è sveglio e prende una treccia dal pavimento. Non si sa mai, starà pensando, forse Manlio è impazzito e si gioca così presto. Mi guarda poco convinto, ma pronto. Io dico a Simona: "Ma è bagnata". Lei sbuffa, quella santa donna dovrà alzarsi comunque. Bisogna cambiarla. Porto la bambina al fasciatoio stando bene attento a non sporcarmi su quella macchia misteriosa della tutina. È giallastra quindi immagino sia pipì.

Mi sbaglio. Simona emana il verdetto con la solerzia di un impiegato capace: "è cacca". Io ho problemi finanche con la parola, figuriamoci con l'oggetto verdastro e molle (questa è la forma con cui si presenta quella dei neonati, mi dicono) che quel termine sta ad indicare. Io assisto Simona al fasciatoio mentre la cambia, come uno di quegli studenti di medicina che in sala operatoria è stato portato con la forza e che ora passa gli strumenti al chirurgo, sempre sul punto di svenire.

Immagine di repertorio - Fasciatoio 2 agosto

ore 4:45 Poppata secondo atto. Per qualche minuto mi posiziono Frida in braccio per provare a "stenderla". Ma è tutto inutile. Simona mi propone di rimetterla al seno. A mali estremi, i soliti rimedi. Poppa di gusto, ma a sorpresa l'unica a cadere vittima del sonno è la madre. Quando si stacca dal capezzolo Frida è più sveglia che mai. Non piange (lo fa molto raramente a dire il vero, preferisce più dei versetti satanici), non si lamenta, ha solo un'espressione vivacissima come se fosse mattina inoltrata.

ore 5 la Ninna nanna senza speranza. Ora ci provo io, Simona è veramente una larva che ha bisogno di dormire per tornare alla vita degli esseri umani. Prendo la piccola e mi siedo sulla Poang  accanto al nostro letto. Il fagottino di 4.2 kg di pura vita è nelle mia braccia. La cullo dolcemente, ma  i suoi occhi giganti sono spalancati su di me come i fanali di un auto americana in un film di gangster anni 40. Mi scruta con espressione interrogativa, mentre provo a cantarle una ninna nanna stonata anche se sussurrata. Invento le parole partendo dalla classica "Ninna nanna ninna oh questa bimba a chi la do".  Ci metto dentro personaggi assurdi nel ruolo di "baby sitter": Bue nero, lupo bianco, freddy krueger, l'ape regina, sommarello bello, vecchio Bob e così via. Logicamente nessun effetto. Intanto Elrond viene a poggiare teneramente la sua testa sulle mie cosce. sembra mi stia implorando di smetterla.

ore 5:18  L'ultima spiaggia - A questo punto provo un altro strumento ipnotico. quello che io chiamo lo "strolling sul posto". Ovvero inserire la piccola nella sua culla-navicella e cominciare a passeggiare per casa (o in giardino quando il clima lo permette) andando avanti e indietro o circumnavigando il tavolo della sala da pranzo. Scendo al piano sottostante, nella "zona giorno" con Elrond al seguito. Posiziono Frida e comincio lo strolling. Sono così stanco che nei primi giri sbatto praticamente ovunque: le ruote contro la gambe del tavolo, il mio ginocchio contro uno spigolo, la parte alta della culla contro la mensola del camino e così via. Più che un tentativo di addormentarla sembra di essere in un quadro di Super Mario Kart. 


ore 5:32 Elrond abbandona. In tutto questo il mio povero cane (che amo anche per la sua infinita pazienza) mi segue come se stessimo passeggiando per strada e non nello spazio angusto del salone. Poi a un certo punto si accascia sul pavimento esausto. Lui almeno dorme. Dura poco. Si rialza sconsolato. Mi guarda e si avvia alle scale per ritornare su: nella zona notte. La sua espressione è stupenda: si ferma a mezza scala e mi guarda. Giuro: sembra dire "che dici torniamo su? qui non c'è speranza". Io ricambio il suo sguardo, alzo le spalle e continuo il mio pellegrinaggio con culla. Ci manca poco che non scuote la testa prima di scomparire verso i piani superiori. Io intanto guardo Frida che senza emettere un suono ha lo sguardo curioso di chi vuole scoprire il Mondo. Alle 5:30 del mattino!

ore 6:15 E il sonno venne. Quando le speranze stanno per abbandonarmi scopro dei cenni di cedimento nella mia bambina. Uno sbadiglio. Sono in penombra, quindi cerco di capire se è veramente un piccolo segno di resa o solo la bocca spalancata per reclamare altro latte. Adesso ho sostituito lo "scuotimento cullante" allo strolling disperato (sembrano armi improbabili di Goldrake). E un altro sbadiglio arriva. In cuor mio esulto. Non che si possa più recuperare il sonno, ma almeno sto portando a casa una vittoria e non sono costretto a ritornare da Simona con una sonora sconfitta da padre incompetente.

È lì che dorme ora. Ma non mi fido del tutto, quindi continuo a cullarla per un po'. Per un bel po'. Voglio assicurarmi che non si risvegli, che si tratti solo di un falso sonno. Sai come quando spari ad uno Zombie, ma alla fine non lo hai colpito bene e questi si rialza, più incazzato di prima. Lo so il paragone è dissacrante, ma quanti neo-genitori avete visto nella vostra vita che non possono definirsi più umani, ma "morti viventi"?

La prudenza non è mai troppa. Con gli zombie. E con i neonati che non prendono sonno!

ore 7:55 Frida dorme ancora nella sua culla-navicella









domenica 16 agosto 2015

Venti di Frida

Approfitto di questa mattina avvolta in una pelle autunnale per fermarmi e scrivere di Frida, oggi che compie venti giorni. Mi sento estremamente fortunato nel potermela godere minuto dopo minuto in questa fase aurorale della sua vita. Agosto non si lavora, non c'è lo stress della quotidianità. tutto è come sospeso in una vertigine fuori dal "tempo".  

Frida - 16 agosto

Ora sta piangendo nella sua culletta. Però la parola "pianto" non rende giustizia. Come tutti i neonati modula in diversi suoni questa forma di pre-linguaggio primitivo e noi per convenzione diamo a tutte queste articolazioni la parola semplice "pianto". In questo siamo inadeguati, come lo siamo per esempio quando diciamo "neve" per indicare qualcosa che, invece, le popolazioni Yupik (eschimesi che vivono tra Groenlandia, Alaska e Siberia) declinano in decine e decine di diversi termini. Un esempio? La parola Nuyileq significa “ghiaccio rotto che comincia a espandersi, pericoloso camminarci sopra”. Il ghiaccio sta quindi scomparendo, ma non si è ancora disperso in acqua, ed è quindi pericoloso camminarci: si può cadere e affogare. Per noi è semplicemente "ghiaccio". 

Ecco ci sarebbe bisogno di un vocabolario nuovo per dare ad ogni "piangere" una diversa sfumatura comunicativa.

In ogni caso mi alzo e vado a prenderla in braccio. Ho letto molto sull'argomento. E sono arrivato alla conclusione che la teoria di "lasciar piangere i bambini fin a che si stancano" è un'aberrazione e una tesi ormai passata in disuso. Non che io e Simona ci precipitiamo al capezzale di Frida appena il primo singulto viene alla luce, come dei controllori della sicurezza davanti a un allarme nucleare. Piuttosto proviamo a interpretare il suo SOS per darle ciò di cui ha bisogno. In genere la sua è una richiesta di latte, non piange mai per capriccio o per altri disturbi. Fino ad ora. 

Il suo miraggio è il capezzolo. Il suo sogno è il capezzolo. la sua montagna sacra è il capezzolo. E la povera Simona è lì per offrire in sacrificio un pezzo della sua carne alla bocca famelica della piccola.

Altre volta basta cullarla per un po' nelle braccia per vedere il sonno far calare il pesante sipario rosa delle palpebre sui suoi occhi. In quel momento sento in me aprirsi una falla e il piacere fluire come un'ondata di mare caldo. Lei è abbandonata a me e io sono fuso al suo corpo. La depongo nella culla con la lentezza e la cura di un antiquario che maneggia un Vaso Qing lavorato con la tecnica Wucai. 

La guardo ancora per fissare quell'immagine di pace sulla mia retina e infine la lascio col sapore del suo candore ancora dentro.

Simona e Frida - 6 agosto

Certo è che, come dice la mia amica neo-mamma Giorgia dalla lontana Londra, "la luna di miele delle prime due settimane" è trascorsa e ora le richieste si fanno più pressanti, il sonno di Frida meno dilagante, gli strepiti più decisi. Ma la notte si dorme ancora. 

Venti giorni di Frida, trascorsi nella pura consapevolezza di quello che giorno dopo giorno cambia, si evolve, cresce, muta. Non mi sto perdendo nulla di questa parte del viaggio insieme. Non lascio trascorrere niente. Ogni "Prima volta" la fermo in una foto, in uno scritto, in un video. Così che la memoria si fa materia e mette radici.

Come per esempio il primo bagnetto che ho seguito attimo dopo attimo con quella euforia che si prova quando sai di star vivendo un momento "storico". Il suo primo piede che affronta l'acqua scalciando. Il suo sguardo che vaga senza fissarsi su nulla. Le manine che disegnano in aria movimenti scoordinati e buffissimi. La bocca ben disegnata che si apre in quello che potrebbe definirsi un atto di stupore. 

Lo stesso stupore che in questi primi venti giorni di Frida ho provato  quasi quotidianamente con felicità perché  come scrive Cesare Pavese nel bellissimo "Il mestiere di vivere": <<lo stupore è la molla di ogni scoperta. È la commozione davanti all'irrazionale>>.