domenica 16 agosto 2015


Venti di Frida

Approfitto di questa mattina avvolta in una pelle autunnale per fermarmi e scrivere di Frida, oggi che compie venti giorni. Mi sento estremamente fortunato nel potermela godere minuto dopo minuto in questa fase aurorale della sua vita. Agosto non si lavora, non c'è lo stress della quotidianità. tutto è come sospeso in una vertigine fuori dal "tempo".  

Frida - 16 agosto

Ora sta piangendo nella sua culletta. Però la parola "pianto" non rende giustizia. Come tutti i neonati modula in diversi suoni questa forma di pre-linguaggio primitivo e noi per convenzione diamo a tutte queste articolazioni la parola semplice "pianto". In questo siamo inadeguati, come lo siamo per esempio quando diciamo "neve" per indicare qualcosa che, invece, le popolazioni Yupik (eschimesi che vivono tra Groenlandia, Alaska e Siberia) declinano in decine e decine di diversi termini. Un esempio? La parola Nuyileq significa “ghiaccio rotto che comincia a espandersi, pericoloso camminarci sopra”. Il ghiaccio sta quindi scomparendo, ma non si è ancora disperso in acqua, ed è quindi pericoloso camminarci: si può cadere e affogare. Per noi è semplicemente "ghiaccio". 

Ecco ci sarebbe bisogno di un vocabolario nuovo per dare ad ogni "piangere" una diversa sfumatura comunicativa.

In ogni caso mi alzo e vado a prenderla in braccio. Ho letto molto sull'argomento. E sono arrivato alla conclusione che la teoria di "lasciar piangere i bambini fin a che si stancano" è un'aberrazione e una tesi ormai passata in disuso. Non che io e Simona ci precipitiamo al capezzale di Frida appena il primo singulto viene alla luce, come dei controllori della sicurezza davanti a un allarme nucleare. Piuttosto proviamo a interpretare il suo SOS per darle ciò di cui ha bisogno. In genere la sua è una richiesta di latte, non piange mai per capriccio o per altri disturbi. Fino ad ora. 

Il suo miraggio è il capezzolo. Il suo sogno è il capezzolo. la sua montagna sacra è il capezzolo. E la povera Simona è lì per offrire in sacrificio un pezzo della sua carne alla bocca famelica della piccola.

Altre volta basta cullarla per un po' nelle braccia per vedere il sonno far calare il pesante sipario rosa delle palpebre sui suoi occhi. In quel momento sento in me aprirsi una falla e il piacere fluire come un'ondata di mare caldo. Lei è abbandonata a me e io sono fuso al suo corpo. La depongo nella culla con la lentezza e la cura di un antiquario che maneggia un Vaso Qing lavorato con la tecnica Wucai. 

La guardo ancora per fissare quell'immagine di pace sulla mia retina e infine la lascio col sapore del suo candore ancora dentro.

Simona e Frida - 6 agosto

Certo è che, come dice la mia amica neo-mamma Giorgia dalla lontana Londra, "la luna di miele delle prime due settimane" è trascorsa e ora le richieste si fanno più pressanti, il sonno di Frida meno dilagante, gli strepiti più decisi. Ma la notte si dorme ancora. 

Venti giorni di Frida, trascorsi nella pura consapevolezza di quello che giorno dopo giorno cambia, si evolve, cresce, muta. Non mi sto perdendo nulla di questa parte del viaggio insieme. Non lascio trascorrere niente. Ogni "Prima volta" la fermo in una foto, in uno scritto, in un video. Così che la memoria si fa materia e mette radici.

Come per esempio il primo bagnetto che ho seguito attimo dopo attimo con quella euforia che si prova quando sai di star vivendo un momento "storico". Il suo primo piede che affronta l'acqua scalciando. Il suo sguardo che vaga senza fissarsi su nulla. Le manine che disegnano in aria movimenti scoordinati e buffissimi. La bocca ben disegnata che si apre in quello che potrebbe definirsi un atto di stupore. 

Lo stesso stupore che in questi primi venti giorni di Frida ho provato  quasi quotidianamente con felicità perché  come scrive Cesare Pavese nel bellissimo "Il mestiere di vivere": <<lo stupore è la molla di ogni scoperta. È la commozione davanti all'irrazionale>>.













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