giovedì 2 aprile 2015


Quello che voglio per mia figlia: creatività e gioco libero

Strappiamo dalle dita dei bambini i tablet e diamo a quelle mani il ramo di un albero da afferrare. Liberiamoli dalla melma televisiva e facciamoli sporcare nel fango di un campo bagnato. Tiriamoli fuori dal flusso idiotizzante degli smartphone per lasciarli liberi di rincorrersi o per cimentarsi in una caccia al tesoro. 

Viola dei miei amici Massimo e Veronica - © Manlio Castagna

Questo sarà il mio primo scopo con Frida:  difenderla dall’ebetismo collettivo della realtà virtuale e innanzitutto da me stesso, esemplare possibile di genitore iperprotettivo.

Mi ha colpito molto una ricerca dello psicologo e biologo del Boston College, Peter Gray (da qualche giorno è uscito il suo ultimo, interessantissimo libro: "Lasciateli giocare") che da anni studia gli indici di creatività dei ragazzi americani, il quale ha rivelato un crollo spaventoso tra il 1985 e il 2008: l’85% dei teenager intervistati è scesa sotto la media dei loro predecessori. 

C’è qualcosa che non funziona più nei sistemi educativi contemporanei e io, per quanto mi è possibile e per quanto riguarda Frida, non voglio arrendermi. Sento già lo sghignazzamento di alcuni di voi, pronti a replicare: “si va bene, lo dici adesso. aspetta che nasce e poi vedrai se riesci a tenerli lontani da tv, tablet, computer e smartphone. Vediamo se li metti al riparo dalle grinfie dei Teletubbies. Vediamo se non ti fai sedurre dal potere ipnotico che la tv può avere su tua figlia, quando le sue urla e i suoi pianti saranno colpi di lancia nel tuo costato sanguinante".

Premetto che non ho intenzione di trasformare la sua vita in quella di una amish, riportandola in un 1700 privo di elettricità e di modernità. Ma bisogna avere un progetto educativo, bisogna avere delle buone intenzioni, altrimenti si finisce per soccombere all'emergenza e a quello che viene. Allora io voglio seguire il mio istinto. E soprattutto quello che voglio è seguire il principio di “lasciarla giocare”. Liberarmi dalle mia paure di padre apprensivo per liberare lei, per farla stare al Mondo senza l’angoscia dell’Occhio di Sauron continuamente spalancato su di lei.

L'occhio di Sauron: da il Signore degli Anelli. L'occhio del male sempre spalancato

Quando mi è capitato di vedere i bambini, anche piccolissimi, nei parchi in Svezia, Olanda, Germania, Norvegia ho avuto una illuminazione: quei mini esseri umani sono lasciati liberi di sperimentare e di giocare. Anche nel freddo più glaciale, anche nel fango più limaccioso, anche tra alberi alti e minacciosi, questi bambini “giocano” senza essere irregimentati in sport di squadra pre-costituiti e senza l’iper vigilanza dei genitori. Li vedi fare le cadute più rocambolesche. Li vedi inzaccherati che sembrano combattenti tedeschi in una trincea della prima guerra mondiale. Li vedi, però, felici!

Inorridisco quando sento la mamma italiana che intima al figlio che vuole giocare: “Mi raccomando, non sudare”! C'è un terrore ancestrale della mamma italiana per il sudore. Come se secernere questo “liquido ipotonico” fosse la manifestazione dell’anticristo della buona salute. Mi odierei se non permettessi a Frida di sbucciarsi un ginocchio nel tentativo di acchiappare una piccola amica nell’atto sacrosanto del rincorrersi. Mi farei crocifiggere piuttosto che non permetterle di sporcarsi mentre gioca con dei colori o mentre ruzzola in un campo verde pieno di fiori e altre amenità naturali. 

Questo non è permissivismo senza regole. Non significa farle fare tutto quello che vuole. Ma ribaltare la volontà. Si perché sono io che voglio vederla andare carponi in un prato e sporcarsi con gli umori della natura. Io voglio che stia muso a muso con i cani (certo non quello di un pitbull inferocito). Io voglio giocare con lei con una palla fatta di carta e nastro adesivo. Dipingerci sul corpo con mille colori. Fare a gara a chi si nasconde meglio al buio (così da affrontare anche le paure). Voglio leggere libri insieme e raccontare storie, crearle insieme (io amo i miti greci e da sempre li studio. Piuttosto che le classiche favole per Frida voglio rielaborare quelle narrazioni epiche e gettarmi con lei dentro storie piene di figure magiche, natura selvaggia, passioni travolgenti e bellezza indescrivibile). 

Lo so che siamo messi male in Italia. Sapete che nel suo ultimo rapporto Save the Children ha scritto che solo il 6% dei bambini ha diritto a scendere in strada da solo e soltanto il 25% a giocare in cortile? Che il 51.6% non va in vacanza con la famiglia neppure per una settimana.? Che il 47% non legge nemmeno un libro all’anno (oddio un abominio!)? 

Noi siamo geneticamente, antropologicamente dei cacciatori-raccoglitori. Degli esploratori. Non dei pigiatori di tasti. Allora venendo meno al nostro patrimonio genetico diventiamo più tristi, più depressi, più ebeti, meno creativi. Io ho vissuto tutta la mia infanzia in strada. Erano gli anni ’80, non sono nato nel 1800! Devo ai miei genitori, se non l’indirizzo alla cultura (perché così non è stato onestamente), almeno la grande libertà di potermi sbucciare le ginocchia (e credetemi le mie rotule erano simili a quelle degli zombi di the walking dead) e di esplorare da solo, non un paesino di montagna, ma una città e un quartiere tra i più trafficati e centrali di Salerno. E sono grato a loro perché è quella infanzia libera che mi ha fatto diventare l’uomo che sono oggi.

Non sarà facile probabilmente, ma se non parto con queste intenzioni sarà un fallimento il mio dovere educativo. Se lascerò che Frida sia preda di Peppa Pig e in balia di MammaTv allora come padre sarò un perdente. E ne dovrò subire le conseguenze. Se mi farò scoraggiare dal vivere in una delle Regioni più abbrutite d’Italia (la Campania, con Sicilia e Calabria, è tra le tre peggiori in quanto a spazi verdi e spazi di gioco collettivo), allora alleverò una figlia ingrigita. Ma non lo farò. Impedirò alla mancanza di fantasia e di immaginazione di erodere i colori dalla vita di Frida. Combatterò la paura che paralizza per mettere le ali ai piedi di mia figlia. E una parola, sempre, sarà la chiave con cui aprire tutte le porte: creatività.

Proteggerli, privarli dell’altalena o del pallone, difenderli furiosamente da qualunque sostanza possa sporcarli o contaminarli (dai piccioni alle cartacce ai cani e ai gatti) e consegnare loro una tastiera di qualsiasi genere non vuole dire amarli, ma farli diventare ansiosi e disinteressati. Con la vita e la scuola percepiti come una lunga serie di ostacoli” (Vera Schiavazzi, "La Repubblica" del 30 marzo)

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