«È lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: IO TI CIELO, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini». Frida Kahlo
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Frida Kahlo |
Ieri come molti di voi amici di Facebook sanno, ho lanciato uno scherzoso sondaggio per il nome di mia figlia, o meglio: per ascoltare il parere degli altri sulla “infiltrazione” di un altro nome (Greta) nelle preferenze onomastiche per la bambina che nascerà tra qualche mese
Tantissimi commenti, alcuni telegrafici, di puro voto, altri più articolati, più elaborati con tanto di motivazione. Anche messaggi privati, telefonate (di familiari) e whatsapp. Questa bambina nasce che più “social” non si potrebbe. Qualcuno penserà che sia troppo, per me invece è giusto. E bellissimo. Cullarla dentro un abbraccio multiforme, dentro centinaia di sguardi, al ritmo di decine e decine di cuori. Di amici. Chi più stretto, chi meno. Chi conosciuto dal vivo, chi solo attraverso uno schermo.
Io sono un fervente sostenitore di Facebook che è uno strumento e in quanto tale può far bene o far male a seconda del nostro modo di usarlo. Delle nostre intenzioni. Delle nostre finalità. E sono convinto che i nomi siano potenti come incantesimi. Le parole hanno il potere di forgiare le cose e il nostro pensiero delle cose e del Mondo. I nomi sono parole all’ennesima potenza.
Il mio è stato un esperimento di confronto, un modo per allargare il pensiero mio e di mia moglie Simona in una dimensione più vasta. E ci ha fatto bene. In particolare un messaggio di una mia amica che, in privato, mi ha scritto: “Chiama Frida tua figlia, solo per dirle “io ti cielo” quando la vedrai.
E lì un oceano di senso mi ha travolto. Ha fatto brillare in me una delle frasi di Frida Kahlo che più amo, uno di quei pensieri che da vent’anni mi porto dentro, da quando nel 1994 - leggendo un articolo su una rivista d’arte - conobbi questa artista di debordante passione, questa donna irripetibile, questo essere umano bello di una bellezza che supera l’orizzonte estetico.
«È lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini».
Improvvisamente le nuvole dell’incertezza sono state spazzare via da una brezza invisibile, ma decisa. Come capita in certi giorni invernali, quando una mattina incolore improvvisamente si apre in una folgorante giornata.
Ho ripreso in mano i fili della mia scelta iniziale. Una scelta che non è stata mai neppure una “scelta”, ma una naturale associazione tra un NOME che per me da vent’anni significa così tanto e un ESSERE AMATO che esiste (e quindi significa) già tanto. C’è in tutta la sua presenza, intangibile, nascosta dentro un’altra carne che amo.
Greta è un bel nome. Suona armonioso, dolce, morbido. È raffinato, senza essere austero e algido. È elegante senza la spocchia di chi si sente superiore. Ma non è il nome di mia figlia. Non ha la rarità, la nobiltà, la fierezza, la potenza evocativa di FRIDA.
Ecco la capacità di evocare. Frida è la rivoluzione della vita dentro le viscere della sofferenza. Frida è il colore che “scorre e apre sentieri che non si percorrono invano”. Frida consuona con il termine amore, senza farci rima. Frida è un brivido. Frida è un vestito sgargiante che si indossa non per fare impressione, ma per dare emozioni.
Questa sera, mentre scrivo, ho trovato quella “sicurezza” e quella “pace” che sono l’etimologia del suo nome. Greta, invece, significa “perla” e sono sicuro che quelle bambine che indossano o vestiranno questo nome saranno preziose come il nome suggerisce. Ma Greta è una perla di una collana che non mi appartiene.
Mia figlia sarà Frida e per citare ancora la magnifica Kahlo: “Io ti consegno il mio Universo”, Frida. E quando ti vedrò ti guarderò e ti dirò “io ti cielo”, per amarti senza confini.
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