giovedì 24 settembre 2015

Il Pianto e il Sorriso: la lingua segreta del neonato

Ora che Frida ha quasi due mesi mi appare più chiara la posizione di un neo-genitore.

È una posizione da acrobata, in bilico, alla ricerca di un equilibrio su quel filo teso tra due sponde che portano nomi suggestivi e antichi: Sorriso e Pianto.

Frida - 19 settembre
Molti definiscono quella della genitorialità un’avventura. Mi sembra pertinente. Portare alla luce un figlio è "un'impresa costellata di rischi, ma assolutamente attraente e piena di fascino per ciò che vi è in essa d’ignoto o d’inaspettato". Così definisce Treccani l'avventura e mi sembra - parola per parola - il dipinto fedelissimo dell'esperienza di un genitore. 

E l'avventura è spesso un viaggio. Uno di quelli memorabili, uno di quelli che attraverso il pericolo e  la gioia della scoperta: ti scortica delle tue abitudini, ti mette di fronte a un nuovo "te stesso", ti scombina tutti i punti sulle i, ti capovolge il tavolo su cui stavi giocando le tue carte, ti fa muovere il culo pesantemente adagiato nella tua "comfort zone". 

Avere un figlio ti fa morire un po' meno, ogni giorno. Se è vero, e io sono convinto che lo sia, che si decede lentamente, goccia a goccia, se non si ha il coraggio di mettersi in gioco e di darsi in pasto al rischio (questo non significa che l'unica strada per evitare la morte a piccole dosi sia diventare genitori, ci sono infiniti modi per raggiungere questa magnifica rivoluzione permanente).

E in quanto "viaggio" l'essere padre mi è parso da subito un cammino a tappe, fatto di punti di arrivo  e di ripartenza (spesso coincidenti).

 I primi 20 giorni sono quelli del frastornamento. Quelli in cui ho accolto nella mia vita lo tsunami di morbida pelle che è Frida. È come prendersi un'onda in piena faccia. Ma lei si è aiutata a farsi volere bene. Dormendo, non strepitando, alternando con giusto equilibrio sonno e piccola veglia per cibarsi dal seno di Simona. 

Dopo queste prime tre settimane di silenzioso adattamento reciproco senza danni, la piccola ha "aperto gli occhi". Ha cominciato a tirar fuori le unghia per aggrapparsi alla schiena del tempo. Non si accontenta più di dormire e mangiare, ma ha cominciato a "chiedere e pretendere".

È così che abbiamo fatto conoscenza con il potere malefico del Pianto. Questa comunicazione primitiva e senza compromessi che ha la capacità di scavarti la pelle, la carne e arrivarti alle ossa per scuoterti senza pietà. Senza considerazioni delle tue stanchezze, delle tue idiosincrasie, dei tuoi tempi, dei tuoi stati d'animo. Abbiamo cominciato a conoscere l'indifferenza del pianto che nei primi giorni ti appare una (non)lingua incomprensibile che è così essenziale da essere inadeguata all'essere umano. È come se fosse un linguaggio con una sola parola che contenesse tutti i significati possibili.

Ma i giorni passano e già superata la boa del primo mese è come se avessi affinato un senso ulteriore: quello che ti permette di distinguere e scomporre l'essenzialità di quel pianto (che poi se si riflette non si discosta dall'imparare davvero una nuova lingua di cui all'inizio non riesci a riconoscere neppure dove finisce una parola e inizia la successiva). Ti comincia ad apparire più ricco di sfumature e di significati. Riesci a dare un senso a quei suoni così acuti che sei sicuro siano stati creati apposta per spappolarti il cervello. 

Naturalmente finisci per temere il pianto e il tuo scopo quotidiano, come genitore, diventa sciogliere quel nodo di dolore che stringe la gola di tua figlia. Rispondi al suo allarme con la solerzia di un nostromo a cui si chiede di portare fuori la sua barca da una tempesta perfetta.

Frida - 22 agosto
Come dicevo all'inizio però c'è l'altra sponda. C'è il Sorriso. Si forma più lentamente nei nostri giorni, ma quando sboccia le prime volte sulle labbra di Frida (e questo sono certo vale per chiunque abbia un pargolo in casa) è come se la primavera mostrasse il suo volto nascosto. Il sorriso di un neonato è un concentrato di stupore. È la rivelazione dell'umanità del tuo bambino.

Il pianto è animale, il sorriso è tutto della nostra specie. Il pianto è egoista, il sorriso è un arco sociale lanciato tra te e un essere umano appena coniato. Il pianto è un grido, il sorriso è un sussurro. 

Quello che trovo affascinante è vedere come cresce quel suo Sorriso. Come si rafforza, come si edifica a partire dalla fondamenta di un accenno di smorfia. Frida ha avuto quell'accenno sin dalle primissime ore della sua vita. Ma non significa nulla. Il suo vero sorriso nasce tra il 45° e il 50° giorno. Da allora è un continuo raffinarsi, un continuo apparire, un continuo rispecchiamento nelle nostre piccole risate ebeti di genitori e parenti ridotti allo stato di poltiglia emotiva. 

Ma cosa c'è di così sorprendente in un sorriso di un neonato? È sicuramente il sentirsi finalmente in contatto. E senza dubbio la consapevolezza che in quell'attimo tua figlia sta vivendo una piccola felicità, un "quanto" di benessere che è l'antimateria del pianto. E il pianto è il tuo nemico, come ho detto prima.

Siamo appesi a quei sorrisi noi genitori. Ne diventiamo drogati. "Smileaddicted" ci potremmo definire con un termine anglo-chic. Siamo lì che facciamo di tutto per vederlo fiorire su quel volto che è un prato di amore infinito. E quando spunta ci inebriamo col suo profumo, lo cogliamo subito e ce lo teniamo stretto, prima di una nuova attesissima dose. 









mercoledì 16 settembre 2015

Filastrocche, contorsioni e tattiche di addormentamento

Ho appena adagiato la piccola Frida nella sua culla.

Adagiare è la parola esatta per rendere al meglio quel complesso e delicatissimo insieme di movimenti sussultori e ondulatori che dall'alto della braccia con una lentezza esasperata - immaginate il super rallenti che Sky propone per una partita di calcio in cui si vede anche la goccia di sudore staccarsi in venti lunghissimi secondi dai capelli del centravanti di turno  - conduce il corpicino in balia del sonno dentro la culletta. 

Cerco pure di non respirare, mi profondo in movimenti  degni di una contorsionista bielorussa, diminuisco i battiti del cuore pur di non rovinare il paziente lavoro di svariati minuti che hanno consegnato Frida al mondo dei sogni. Un Mondo che può deflagrare per un nonnulla e che ti riporta al fatidico momento in cui è di nuovo sveglia.

Frida (particolare della mano) - 25 agosto

Anche stasera mi è capitato. Avevo lavorato ai fianchi la bimba con i miei tre cavalli di battaglia: tre "ninna nanna" (meglio dire "Nursery rhymes" - cioè filastrocche) cantate in inglese che ho imparato e le propino a ripetizione (con lei la maggior parte del tempo parlo in inglese e canzoni e filastrocche mai in italiano). 

La prima è TWINKLE TWINKLE LITTLE STAR e parla di una stellina luccicante e di un bambino che non capisce cosa sia. è una filastrocca dal ritmo molto blando che a volte finisce per addormentare più me che lei. 

La seconda (e mia preferita) è HUSH LITTLE BABY. È una filastrocca del tutto surreale e senza senso che devo assolutamente raccontarvi. Parla di un padre disperato che cerca di non far piangere la propria bimba e per far questo le regala prima un tordo americano che canta (!) Ma le dice che se non dovesse cantare allora le darà in dono un anello di diamanti [ah si comincia bene...]. Questi però potrebbe tramutarsi in ottone e allora a questo punto le regalerebbe uno specchio [certo che passare da un gioiello a uno specchio non mi sembra una mossa gentile e generosa]. E anche questo potrebbe avere problemi cominciando a "creparsi". E allora il padre premuroso cosa fa? le prende un Caprone!  [chi non regalerebbe un "billy goal" a sua figlia!] Però questo simpatico animale potrebbe rifiutarsi di trainare. Il padre disperato non si perde d'animo e pur di zittire la figlia passa a prenderle un carretto con bue. Ma siamo in una filastrocca pessimista, quindi il carretto potrebbe rovesciarsi. Per amor di figlia (e di rima sopratutto) il dolce papà le prende un cane di nome Rover. E indovinate che succede? Rover non abbaia. E io e voi diremmo: meglio! No, il padre di questa bambina decide che non è giusto che un cane non abbai e quindi se dovesse accadere questo malaugurato silenzio passerebbe all'ultimo regalo: un carretto con cavallo (questa volta). Logicamente ci troviamo di fronte a un nuovo fiasco: il carretto col cavallo ha buone possibilità di cappottarsi. E a questo punto la filatrocca come si conclude? Con lui che dice alla piccola che resta comunque la più dolce bimbetta della città. [sinceramente a me pare che una tipa che per zittirsi ha bisogno di tutte queste cose è più una stronzetta che uno zuccherino]

Di solito Hush Little Baby funziona bene, ma non sempre. E allora il mio repertorio si è ingrandito con THE WHEELS ON THE BUS. Non ve la faccio lunga, ma è la filastrocca di un autobus e delle sue varie parti con varia gente a bordo. Ha molto ritmo e di solito riesce a mettere a nanna la piccola Frida.

Frida 2 settembre
Comunque dopo aver tenuto in braccio la piccola Frida (che diventa sempre meno piccola. siamo al 50° giorno, pesa già 5.3kg e ha un'altezza ragguardevole, tanto che il pediatra oggi ci ha detto - leggendo i famigerati "percentili di crescita" - che con il suo 97% ha pochi rivali della sua età in salerno e provincia) ed essermi causato una necrosi degli arti, cantando (così stonato che credo che si addormenti per non sentirmi più) e camminando per le stanze di casa: finalmente ha chiuso gli occhi.

Come dicevo: vado a deporla in culletta - con la dovizia che un calligrafo giapponese mette nella cura del disegno di un kanji - e appena tocca la superficie morbida del materassino sento lo scatto delle palpebre e i suoi immensi occhi (per ora azzurri) mi fissano come i fanali di un auto aggressiva che sta per investirti.

Io la guardo a mia volta, quasi fossi un ladro che è stato appena colto in flagranza di delitto. Lei sembra dirmi: "ma cosa diavolo stai facendo? Rimettimi su!" (a volte immagino Frida come se fosse Stewie dei Griffin).

Annuisco e la riporto tra le braccia ricominciando il valzer delle filastrocche assurde. E riesco di nuovo a farla crollare. E qui arriviamo all'inizio della storia (ovvero di questo post), quando ho appena adagiato la piccola in culla. Ma sento già dei rumori sospetti venire a galla minacciosi da quel lettino... mi sa che .... 





domenica 30 agosto 2015

5 motivi per cui voglio una figlia bilingue

La mia prima mission (non così impossible) è fare di Frida di una bambina bilingue.

Devo darle questa chance, devo metterla in condizione di vivere un futuro che somigli a una stanza con tante porte e non a uno sgabuzzino dove l'unica uscita ha sopra una etichetta scritta in italiano. 

Mi sto documentando tantissimo, come è nel mio spirito e nella mia indole, sul come farlo al meglio. Sono approdato da poco a un libro che mi sembra formidabile THE BILINGUAL EDGE "(il vantaggio bilingue") il cui sottotitolo recita "Why, When, and How to teach your child a second language". Finalmente oggi mi è arrivato direttamente da Londra (e con mia grande sorpresa anche autografato dalle due autrici, docenti di linguistica alla Georgetown University: Kendall King e Alison MacKey).

27 agosto - "The Bilingual Edge" nelle mie mani 

Sento scorrere in me fiumi caldi di dopamina (conoscete no? il neurotrasmettitore che regola tra le altre cose il "piacere" e la ricerca del godimento), come ogni volta che intraprendo una nuova strada che mi stimola.

Ho tempo e voglio dedicarlo allo studio di un metodo efficace per trasferire a mia figlia quella lingua inglese che: (uno) mi piace da impazzire, (due) parlo e capisco ormai con discreto successo e (tre) è utile come avere due occhi in un mondo di mezzi orbi. O come avere un paio di extra-vite in un videogame prima di affrontare lo scontro finale con il Mostro dell'ultimo livello.  

Ma prima di inoltrarmi in un cammino che mi entusiasma e di cui voglio rendere partecipi tutti coloro che leggono questo blog, voglio anche capire per bene perché è importante dare questo "edge" ai propri figli.

Mi aiuto con quello che ho imparato da quelle che chiamerò confidenzialmente Kendy e Ally (le due PhD, professoresse autrici di questo bel libro). Ecco i cinque motivi per cui è CRUCIALE allevare figli bilingue.

1. Persone con una conoscenza avanzata di due o più lingue di solito sono più creative.

Diverse ricerche lo hanno provato ed ormai è scientificamente acclarato, ma io ne ho fatto esperienza sulla mia stessa pelle. Lavorando a Doha (in un ambiente di lavoro in cui linguisticamente parlando, mi sento come Pippo - l'amico di Topolino - ad un convegno di ingegneri aerospaziali)  mi sono reso conto di quanta creatività sgorghi in chi è bi o tri o quadrilingue (oddio questi sono mostri). Non solo, basti pensare ai tanti scrittori che hanno usato il loro bilinguismo a favore della loro ispirazione creativa (da Isabelle Allende a Emil Cioran, da Salman Rushdie a Yoko Tawada che a proposito del suo trilinguismo ha scritto: "Quando tu crei una connessione tra due parole che sono distanti enormemente, nella tua testa si produce una sorta di elettricità. C'è un flash di luce, una sensazione di pura meraviglia").

2. Conoscere due lingue dà ai bambini un vantaggio cognitivo

Come si misura questo vantaggio? per esempio con una consapevolezza metalinguistica più sofisticata rispetto a chi parla una sola lingua (e non parliamo poi di quei poveri innocenti massacrati da genitori che parlano solo in dialetto. Quelli per me sono sottosviluppati - parlo dei parenti - e quindi non li prendo nemmeno in considerazione). Questa consapevolezza altro non è che la sensibilità al fatto che il "linguaggio" è un sistema che può essere analizzato e con cui si può "giocare". Per esempio bambini che crescono nella culla di più lingue sanno apprezzare meglio battute, puns (cioè giochi di parole) e metafore. Un esempio concreto sono i miei grandi amici: i fratelli Guarino. Donato, Gerry e Tony. perfetti esempi di persone bilingue e grandi amanti del gioco di parole, immenso senso dell'umorismo ed estrema sensibilità alle articolazioni del linguaggio. 

Tra l'altro la consapevolezza metalinguistica crea vantaggi pratici scientificamente testati: ti rende più veloce nella capacità di leggere, nel memorizzare parole e apre la strada a una maggiore raffinatezza nel concepire una frase grazie a una migliore conoscenza dei sinonimi. 

3. I bilingue sono più focalizzati sugli obiettivi

Proprio in questi giorni, durante le mie sgroppate a cavallo di tanti siti e forum trovati online per accumulare conoscenze sull'argomento, leggevo di alcuni test in cui si prova decisamente che chi conosce due lingue "batte" i monolingua (sembra una tribù indios) in quegli esperimenti che richiedono di ignorare informazioni distraenti. In poche parole i bilingui sono più bravi nel focalizzarsi sugli obiettivi richiesti, eliminando i dettagli fuorvianti. 


4. Imparare un'altra lingua rafforza la comprensione interculturale

Tempi di sbarchi tragici e di immigrazione dolente. Tempi di spostamenti da un Paese all'altro. Di viaggi. Di incontro e scontro culturale. E credo conveniate con me: capire una cultura è difficile senza capirne il linguaggio. Anche in questo caso le ricerche parlano chiaro: quando i bambini imparano una seconda lingua è più probabile che sviluppino una attitudine positiva verso coloro che parlano quel linguaggio. Non solo: visto che noi facciamo esperienza del Mondo attraverso il linguaggio, conoscere un'altra lingua ci aiuta a capire che esistono altre prospettive su come si percepisce ciò che c'è intorno a noi. E quindi a rispettare punti di vista alternativi.

In poche parole imparare una lingua ti rende meno spaventoso il "diverso" e ti prepara ad essere un cittadino del Mondo più civile, rispettoso e comprensivo. E non è poco, perché questo impatta non solo su tuo figlio / tua figlia, ma idealmente sulla società stessa.

5. Il bilinguismo ti assicura, senza dubbio, un vantaggio formativo e nella carriera lavorativa

Non c'è nemmeno bisogno di commentare questo punto.


Ma per raggiungere tutto questo e far fruttare i 5 vantaggi non basta che nostra figlia sappia dire "hallo" e "good morning" e sia capace di contare fino a 10 in inglese (quante volte abbiamo sentito il genitore orgoglioso chiedere al suo bambino - che intanto ha i testicoli su una carriola per quanto si sono gonfiati a furia di sentirselo dire : "dai... fai sentire come sai contare fino a dieci. One, two...).

Perché il bilinguismo sia vero è necessario che il bambino abbia una avanzata competenza in due lingue. E questo non l'ottieni piazzandoli davanti alla tv dove i Teletubbies o Peppa Pig lo rincoglioniscono (seppur in inglese). Nè con una esposizione modesta alla lingua straniera: vedi mezz'ora di inglese in classe una volta a settimana (spesso con docenti che parlano la lingua anglosassone come io mi intendo di calcestruzzo)

In poche parole sarà un bell'impegno da condurre con applicazione scientifica. Ma io sono pronto e ne ho voglia. Nella prossima puntata con l'aiuto di Kendy e Ally cerchiamo di capire insieme i 10 miti da sfatare sull'insegnamento della seconda lingua. Sempre se vi interessa!






giovedì 27 agosto 2015

Un figlio cambia la vita?

Oggi Frida compie un mese. 

Le date per noi esseri umani hanno un valore trascendentale. Le ricorrenze vanno segnate, celebrate, festeggiate, nominate, fotografate, incasellate. Alla resa dei conti il TEMPO se ne frega di queste nostre psicosi numeriche, ma siamo esseri umani: in qualche modo dobbiamo crearci l'illusione di poter "controllare" il più incontrollabile degli elementi della nostra esistenza. Il Tempo, appunto.

Ma non è di questo che voglio parlare in questo pezzo di blog. Ho intenzione di affrontare, alla distanza simbolica di un mese appunto, quello che è la frase-monito più ricorrente al momento della tua decisione di avere un figlio, quando comunichi al Mondo che avrai un figlio, quando avverti tutti che hai avuto un figlio, quando presenti in "società" un figlio. Il monito è:

ADESSO LA TUA VITA CAMBIERÀ (pezzo di pianoforte enfatico e lugubre, beethoveniano. Lampi e tuoni. Risata mefistofelica in filigrana). 

Frida 18 agosto

Ora provate a chiedermi: Manlio ma la tua vita è cambiata, vero?
Io vi rispondo senza pensarci due volte: No, non è cambiata.

E non lo dico per spirito di contraddizione, né per inclinazione naturale a provocare. È proprio che non trovo gli elementi che mi segnalino con precisione un "turning point" concreto, visibile, preciso. 

Volete la verità più cruda: me l'ha cambiata più il mio border Elrond la vita in quell'ormai lontano (purtroppo) 27 dicembre 2009, quando è entrato in casa nostra con quell'espressione timida e l'andatura frastornata (di lì a poco si sarebbe trasformato in uno dei setti demoni dell'apocalisse). 

Ecco le prove. Per Elrond ho dovuto cambiare prima l'auto. La mia bella New Beetle Cabrio Volkswagen era troppo stretta per il trasportino, troppo scomodo per il tettuccio apribile, troppo vomitofila (sì ormai il mio cucciolo rigettava con fiotti alla "esorcista" al solo vederne le chiavi). Ed ecco che arriva una squallidissima Megane Scenic color Ratatouille  metallizzato. Dopo un po' ho dovuto rinunciare al mio appartamento molto "fancy" al centro di Salerno per una casa in paese. Non era più sopportabile farsi una montagna di scale senza ascensore per andare in luoghi senza verde e senza speranza. 

L'arrivo di Frida non ha comportato smottamenti del genere. Certo ho cambiato casa, spostandomi in una bella villetta con giardino, ma l'avrei fatto a prescindere. Anche perché il giardino è essenzialmente appannaggio di Elrond. 

Questo per parlare di "cose". Di "materia". Ma quello che Elrond ha portato nella mia vita è stato un cambiamento radicale nel vedere il Mondo. Questa è un'altra storia, ma se adesso ho un rapporto così viscerale con la Natura e so riconoscere con certezza e al volo un Callistemon, un Ornello, un Faggio, un Ontano e così via, lo devo esclusivamente all'entrata nella mia vita di un cane splendido come il mio border. E così il rispetto per gli animali e per la singola vita di ogni essere vivente (ad esclusione degli insetti che continuo a trucidare senza pietà se appartenente alle luride specie che detesto: scarafaggi e affini o zanzare e derivati. sono uno specista? sì e con orgoglio. a differenza di coloro che mettono le mani avanti dicendo: "non sono razzista". per poi dire: "però i "neri" non li sopporto"). 

Frida 16 agosto
L'arrivo di Frida nei miei giorni, come scrivevo in un altro pezzo del blog, è per me un'amplificazione non una rivoluzione della mia esistenza. Sempre per restare nella "quantificazione" dei fatti: lei non mi ha tolto la possibilità di uscire la sera. Io non esco da anni, non ho mai amato l'uscita da fermo (cioè se sono in viaggio niente mi può costringere a restare chiuso in camera. Voglio vedere il mondo, ma se devo fare le "vasche" in giro per i posti che conosco da una vita, allora preferisco l'acquario della mia casa). 

Frida non mi ha privato della possibilità di leggere. Anzi ad agosto mi sono scolato 3 libri e il quarto lo sto leggendo in questi giorni, spesso con lei che dorme accanto a me o dentro il mio abbraccio. Vedo film come prima. Prendo il sole in giardino. Incontro gli amici. Vado a correre con Elrond allo stadio al mattino e gioco con lui a calcio nel tardo pomeriggio. Elaboro le mie ricette di cucina (marmellate e creme di nocciola su tutto). E così via. Tutto senza variazioni apprezzabili. 

E soprattutto dormo. Dormo la notte come prima. E anche se non dovessi farlo non è un cruccio. Ho sempre trovato il sonno una incombenza di cattivo gusto: necessaria, ma noiosa. 

Certo già sento le obiezioni:

1. Quelle dei profeti di sventura: "è ancora presto, poi vedrai"
2. Quelle dei filosofi speleologi: "il cambiamento è in te. Nel profondo"
3. Quelle dei mistici: "Sei già cambiato e non te ne rendi conto"
4. Quelle alla Winky Wonka (il direttore della Fabbrica di Cioccolato): "Ti sei già squagliato con tua figlia"
5. Quelle dei silenziosi moralizzatori:  (silenzio, ma con sguardo severo)

Non voglio dire che l'arrivo di un figlio o di una figlia sia un sorso di acqua fresca. Non è un alito di vento che appena avverti in casa. L'impatto emotivo è altissimo, ma io per natura tendo a non drammatizzare nulla. 

Noi cambiamo di continuo. Come con costanza cambia la nostra vita. Gli aforismi si sprecano. Da quello di Ludwig Börne: "Niente è duraturo come il cambiamento" al quello bellissimo del Buddha: "“Tutto cambia, nulla resta senza cambiamento”. Ma senza scomodare pensatori e frasi celebri tutti noi sappiamo che qualsiasi cosa ci accada di minimamente straordinario finisce col "cambiarci la vita". Allora perché stare a sottolineare di continuo che "proprio" diventare genitori ti cambia la vita. È una ridondanza. Una esasperazione. Si è sempre detto così e si continua a dirlo perché è naturale dirlo. C'è troppa enfasi rispetto all'arrivo di un figlio. C'è troppo fermento emotivo. C'è troppo "luogo comune". 

E invece non c'è luogo così fuori dal comune che la relazione unica e senza stereotipi con la propria figlia. O il proprio figlio. Io amo Frida, non mi sciolgo per lei. Non perdo la testa, ma ritrovo parti di me che non conoscevo. Questo è tutto. E forse non è poco. 

P.s. giuro solennemente che non dirò mai a un neo-papà : "tuo figlio (tua figlia) ti cambierà la vita". Al limite gli dirò: te la divarica l'esistenza, te la esalta, te la insaporisce. 










mercoledì 19 agosto 2015

Cronaca di una notte interrotta

Sono le 6:27 e scrivo dalla mia cucina al primo piano. Scatto anche una foto. Voglio farvi sedere accanto a me. Voglio farvi sentire il caldo silenzio che ora è sceso in casa. A pochi centimetri da me  (fuori campo) la culla-navicella in cui sembra abbia trovato pace Frida dopo due ore di veglia coatta.


Scrivo piano, battendo i tasti con la delicatezza con cui una ricamatrice fiamminga confeziona il suo merletto prezioso. Ho paura di ritrovarmi improvvisamente dentro uno "strepito" della piccola, a tu per tu con una nuova veglia

Questa è la prima notte dal suo arrivo nella vita in cui sono stato costretto a sacrificare sull'altare della genitorialità un pezzo del mio sonno. Poca roba certo, ma voglio rendervi partecipi dello stato d'animo di un padre in erba appena uscito dalla trincea di una notte interrotta. 

Sul viso di molti di voi che ora leggono queste righe mi sembra già di vedere chiaramente  quel "sorrisino" sornione di cui ho già parlato altrove e che sfigura la faccia fino a farla diventare una maschera di un Joker da condominio. Quel sorrisino che dice: "te lo avevo detto che non si dormiva". Oppure "eh quante volte ci sono passato". O ancora "si certo e vedrai ancora". Fino al subdolo: "hai voluto la bicicletta e ora...

Passo sopra al sorrisino, sperando di non averlo mai in dote per il futuro e di non indossarlo quando altri esseri umani di mia conoscenza si imbarcheranno timorosi o sfrontati sulla barca dove da poco ho cominciato il mio viaggio.

Ma ora via alla cronaca. 

Ore 4:15 La sveglia. una serie di suoni terrificanti, degni della mutazione umana in demone di un film horror di serie B, afferra me e Simona dal sonno in cui siamo calati da circa tre ore per scaraventarci nella veglia. Frida si sta risvegliando. Il "mostro" esce dalla caverna. Io ho la fortuna di non amare dormire, anzi la trovo una necessità piuttosto seccante, ma certo se mi svegli così all'improvviso non puoi aspettarti da me una gran lucidità. Quindi come un goffo insetto mando in perlustrazione uno dei miei arti sul tavolinetto alla ricerca del cellulare per capire di che ora si tratta. Mi volto verso Simona chiedendo con tono da ubriaco fradicio se è l'ora della poppata. Lei mi dice, e la sua voce è  impastata non meno della mia, che già l'ha fatta pochi minuti fa. Panico. E ora che si fa? 

Nota per chi non ha figli: il metodo principe per far piombare i neonati nel sonno è attaccarli al seno materno e lì a colpi di latte e poppate si spengono con faccia da ebete, come se avessero bevuto un liquido ipnotico o come se avessero appena spippato dell'oppio cinese. 

ore 4:20 La scoperta. Simona mi chiede di prendere Frida, lei è demolita. È stata da poco prosciugata e allattare stanca (potrebbe essere il titolo di un libro che fa il verso a quel capolavoro di Cesare Pavese che è "Lavorare Stanca"). Io mi alzo con la grazia di un alpinista che vuole danzare l'ultimo atto del Lago dei Cigni. Vado alla culla e nel prendere Frida mi accorgo che c'è una macchia bagnata sulla sua tuta all'altezza della gamba sinistra. Intanto Elrond è sveglio e prende una treccia dal pavimento. Non si sa mai, starà pensando, forse Manlio è impazzito e si gioca così presto. Mi guarda poco convinto, ma pronto. Io dico a Simona: "Ma è bagnata". Lei sbuffa, quella santa donna dovrà alzarsi comunque. Bisogna cambiarla. Porto la bambina al fasciatoio stando bene attento a non sporcarmi su quella macchia misteriosa della tutina. È giallastra quindi immagino sia pipì.

Mi sbaglio. Simona emana il verdetto con la solerzia di un impiegato capace: "è cacca". Io ho problemi finanche con la parola, figuriamoci con l'oggetto verdastro e molle (questa è la forma con cui si presenta quella dei neonati, mi dicono) che quel termine sta ad indicare. Io assisto Simona al fasciatoio mentre la cambia, come uno di quegli studenti di medicina che in sala operatoria è stato portato con la forza e che ora passa gli strumenti al chirurgo, sempre sul punto di svenire.

Immagine di repertorio - Fasciatoio 2 agosto

ore 4:45 Poppata secondo atto. Per qualche minuto mi posiziono Frida in braccio per provare a "stenderla". Ma è tutto inutile. Simona mi propone di rimetterla al seno. A mali estremi, i soliti rimedi. Poppa di gusto, ma a sorpresa l'unica a cadere vittima del sonno è la madre. Quando si stacca dal capezzolo Frida è più sveglia che mai. Non piange (lo fa molto raramente a dire il vero, preferisce più dei versetti satanici), non si lamenta, ha solo un'espressione vivacissima come se fosse mattina inoltrata.

ore 5 la Ninna nanna senza speranza. Ora ci provo io, Simona è veramente una larva che ha bisogno di dormire per tornare alla vita degli esseri umani. Prendo la piccola e mi siedo sulla Poang  accanto al nostro letto. Il fagottino di 4.2 kg di pura vita è nelle mia braccia. La cullo dolcemente, ma  i suoi occhi giganti sono spalancati su di me come i fanali di un auto americana in un film di gangster anni 40. Mi scruta con espressione interrogativa, mentre provo a cantarle una ninna nanna stonata anche se sussurrata. Invento le parole partendo dalla classica "Ninna nanna ninna oh questa bimba a chi la do".  Ci metto dentro personaggi assurdi nel ruolo di "baby sitter": Bue nero, lupo bianco, freddy krueger, l'ape regina, sommarello bello, vecchio Bob e così via. Logicamente nessun effetto. Intanto Elrond viene a poggiare teneramente la sua testa sulle mie cosce. sembra mi stia implorando di smetterla.

ore 5:18  L'ultima spiaggia - A questo punto provo un altro strumento ipnotico. quello che io chiamo lo "strolling sul posto". Ovvero inserire la piccola nella sua culla-navicella e cominciare a passeggiare per casa (o in giardino quando il clima lo permette) andando avanti e indietro o circumnavigando il tavolo della sala da pranzo. Scendo al piano sottostante, nella "zona giorno" con Elrond al seguito. Posiziono Frida e comincio lo strolling. Sono così stanco che nei primi giri sbatto praticamente ovunque: le ruote contro la gambe del tavolo, il mio ginocchio contro uno spigolo, la parte alta della culla contro la mensola del camino e così via. Più che un tentativo di addormentarla sembra di essere in un quadro di Super Mario Kart. 


ore 5:32 Elrond abbandona. In tutto questo il mio povero cane (che amo anche per la sua infinita pazienza) mi segue come se stessimo passeggiando per strada e non nello spazio angusto del salone. Poi a un certo punto si accascia sul pavimento esausto. Lui almeno dorme. Dura poco. Si rialza sconsolato. Mi guarda e si avvia alle scale per ritornare su: nella zona notte. La sua espressione è stupenda: si ferma a mezza scala e mi guarda. Giuro: sembra dire "che dici torniamo su? qui non c'è speranza". Io ricambio il suo sguardo, alzo le spalle e continuo il mio pellegrinaggio con culla. Ci manca poco che non scuote la testa prima di scomparire verso i piani superiori. Io intanto guardo Frida che senza emettere un suono ha lo sguardo curioso di chi vuole scoprire il Mondo. Alle 5:30 del mattino!

ore 6:15 E il sonno venne. Quando le speranze stanno per abbandonarmi scopro dei cenni di cedimento nella mia bambina. Uno sbadiglio. Sono in penombra, quindi cerco di capire se è veramente un piccolo segno di resa o solo la bocca spalancata per reclamare altro latte. Adesso ho sostituito lo "scuotimento cullante" allo strolling disperato (sembrano armi improbabili di Goldrake). E un altro sbadiglio arriva. In cuor mio esulto. Non che si possa più recuperare il sonno, ma almeno sto portando a casa una vittoria e non sono costretto a ritornare da Simona con una sonora sconfitta da padre incompetente.

È lì che dorme ora. Ma non mi fido del tutto, quindi continuo a cullarla per un po'. Per un bel po'. Voglio assicurarmi che non si risvegli, che si tratti solo di un falso sonno. Sai come quando spari ad uno Zombie, ma alla fine non lo hai colpito bene e questi si rialza, più incazzato di prima. Lo so il paragone è dissacrante, ma quanti neo-genitori avete visto nella vostra vita che non possono definirsi più umani, ma "morti viventi"?

La prudenza non è mai troppa. Con gli zombie. E con i neonati che non prendono sonno!

ore 7:55 Frida dorme ancora nella sua culla-navicella









domenica 16 agosto 2015

Venti di Frida

Approfitto di questa mattina avvolta in una pelle autunnale per fermarmi e scrivere di Frida, oggi che compie venti giorni. Mi sento estremamente fortunato nel potermela godere minuto dopo minuto in questa fase aurorale della sua vita. Agosto non si lavora, non c'è lo stress della quotidianità. tutto è come sospeso in una vertigine fuori dal "tempo".  

Frida - 16 agosto

Ora sta piangendo nella sua culletta. Però la parola "pianto" non rende giustizia. Come tutti i neonati modula in diversi suoni questa forma di pre-linguaggio primitivo e noi per convenzione diamo a tutte queste articolazioni la parola semplice "pianto". In questo siamo inadeguati, come lo siamo per esempio quando diciamo "neve" per indicare qualcosa che, invece, le popolazioni Yupik (eschimesi che vivono tra Groenlandia, Alaska e Siberia) declinano in decine e decine di diversi termini. Un esempio? La parola Nuyileq significa “ghiaccio rotto che comincia a espandersi, pericoloso camminarci sopra”. Il ghiaccio sta quindi scomparendo, ma non si è ancora disperso in acqua, ed è quindi pericoloso camminarci: si può cadere e affogare. Per noi è semplicemente "ghiaccio". 

Ecco ci sarebbe bisogno di un vocabolario nuovo per dare ad ogni "piangere" una diversa sfumatura comunicativa.

In ogni caso mi alzo e vado a prenderla in braccio. Ho letto molto sull'argomento. E sono arrivato alla conclusione che la teoria di "lasciar piangere i bambini fin a che si stancano" è un'aberrazione e una tesi ormai passata in disuso. Non che io e Simona ci precipitiamo al capezzale di Frida appena il primo singulto viene alla luce, come dei controllori della sicurezza davanti a un allarme nucleare. Piuttosto proviamo a interpretare il suo SOS per darle ciò di cui ha bisogno. In genere la sua è una richiesta di latte, non piange mai per capriccio o per altri disturbi. Fino ad ora. 

Il suo miraggio è il capezzolo. Il suo sogno è il capezzolo. la sua montagna sacra è il capezzolo. E la povera Simona è lì per offrire in sacrificio un pezzo della sua carne alla bocca famelica della piccola.

Altre volta basta cullarla per un po' nelle braccia per vedere il sonno far calare il pesante sipario rosa delle palpebre sui suoi occhi. In quel momento sento in me aprirsi una falla e il piacere fluire come un'ondata di mare caldo. Lei è abbandonata a me e io sono fuso al suo corpo. La depongo nella culla con la lentezza e la cura di un antiquario che maneggia un Vaso Qing lavorato con la tecnica Wucai. 

La guardo ancora per fissare quell'immagine di pace sulla mia retina e infine la lascio col sapore del suo candore ancora dentro.

Simona e Frida - 6 agosto

Certo è che, come dice la mia amica neo-mamma Giorgia dalla lontana Londra, "la luna di miele delle prime due settimane" è trascorsa e ora le richieste si fanno più pressanti, il sonno di Frida meno dilagante, gli strepiti più decisi. Ma la notte si dorme ancora. 

Venti giorni di Frida, trascorsi nella pura consapevolezza di quello che giorno dopo giorno cambia, si evolve, cresce, muta. Non mi sto perdendo nulla di questa parte del viaggio insieme. Non lascio trascorrere niente. Ogni "Prima volta" la fermo in una foto, in uno scritto, in un video. Così che la memoria si fa materia e mette radici.

Come per esempio il primo bagnetto che ho seguito attimo dopo attimo con quella euforia che si prova quando sai di star vivendo un momento "storico". Il suo primo piede che affronta l'acqua scalciando. Il suo sguardo che vaga senza fissarsi su nulla. Le manine che disegnano in aria movimenti scoordinati e buffissimi. La bocca ben disegnata che si apre in quello che potrebbe definirsi un atto di stupore. 

Lo stesso stupore che in questi primi venti giorni di Frida ho provato  quasi quotidianamente con felicità perché  come scrive Cesare Pavese nel bellissimo "Il mestiere di vivere": <<lo stupore è la molla di ogni scoperta. È la commozione davanti all'irrazionale>>.













sabato 8 agosto 2015

Lettera a Frida Futura sulla lentezza

Ho voglia di scrivere direttamente a te Frida. Alla Frida Futura che tra qualche anno leggerà, mi auguro, queste parole. 

È da poco passata la mezzanotte. Una di quelle notti estive di melassa in cui restano impigliati i pensieri più vaporosi, i sogni spezzati e i ricordi che danzano su pavimenti caldi di musica. In casa il tessuto del silenzio è come una filigrana attraverso la quale puoi sentire scricchiolare le ossa del giorno che muore.

Dei cani lontani si chiamano nella loro lingua incomprensibile e qualche uccello notturno strepita lanciandosi all'attacco. Io ti guardo mentre dormi nella tua culla, facendo lo sforzo enorme di realizzare il fatto che sei mia figlia. La mia bambina. 

Frida - 7 agosto

Non è così facile fare spazio nel proprio cervello - che con il passare del tempo somiglia sempre più a quelle stanze intime un cui accatasti tanta roba raccolta nel tuo viaggio nella vita, cumuli di oggetti che per altri possono sembrare ciarpame, ma che invece ti definiscono con precisione inimmaginabile -  dicevo non è facile trovare un posto adeguato a un pensiero così grande. Così ingombrante. Ho vissuto la mia vita nella assoluta certezza di non volere figli. Ormai ero certo della mia proclamata antigenitorialità. 

E poi sei arrivata tu, con la tenacia di certi avventurieri che pur di esplorare un nuovo Mondo sarebbero pronti a lacerarsi le carni  e ad affrontare tutti i venti contrari.

Nove mesi non sono bastati a fare pulizia in quella stanza della mia testa. 41 anni di accumulo hanno reso quel posto come uno sgabuzzino. Ma negli ultimi undici giorni, da quando il 27 luglio ti ho visto uscire dal corpo di tua madre urlante, i "lavori in casa" nel mio cervello hanno subito una improvvisa accelerazione. Ora dopo ora il tuo nome diventa sempre più imponente e luminoso dentro quello spazio mio che dice chi sono. Le tue radici si intrecciano alle mie, quelle profonde, e comincio a capire che in me batte il tuo cuore.

Giorno dopo giorno ti vedo cambiare. Sei tu eppure non sei tu. Sei un TU in divenire. Pochi minuti fa  ti guardavo scivolare nel sonno mentre ti cullavo nell'incavo dei miei avambracci. Quando ti tengo nel mio abbraccio non mi distraggo. Non guardo la tv. Non ho il cellulare accanto. Non faccio altro che stare con te. Voglio assaporare lentamente il momento.

Frida sul fasciatoio - 1 agosto

Così ho potuto scrutare i tuoi lineamenti. Li ho trovati addolciti rispetto a pochi giorni fa. Come ammorbiditi da un alito caldo che modella una cera. E gli occhi più grandi e presenti. Meno vaganti. Ho notato che quando sospiri c'è come il disegno abbozzato di Frida Futura, un accenno leggero della donna che sarai e che spero di conoscere.

Vorrei dirti tante cose Frida, ma ne avrò il tempo. In questo diario a forma di blog ci scopriremo goccia a goccia, senza far scorrere velocemente gli istanti, ma provando a fermarli in una vertigine di parole. Con lentezza. 

Un giorno lontano mi piacerebbe che tu continuassi questo diario, che facessimo diventare questo blog una partitura a due voci. Ma ora corro troppo, come fanno sempre quelli della specie a cui appartieni: gli esseri umani. 

Io ti auguro invece, cara Frida, che a te sia data la possibilità di innamorarti della lentezza. In fondo come scrive un autore che ho amato particolarmente (Milan Kundera): "C'è un legame stretto tra lentezza e memoria, così come c'è un nesso fortissimo tra velocità e oblio". 

Questa notte, scrivendoti, Frida, ho un po' rallentato il tempo e spero di aver conservato un pezzo di memoria che ci nutrirà negli anni a venire. Con lentezza ho scelto le parole. Con lentezza ho guardato  in me alla ricerca delle sensazioni più vere. La lentezza ci salverà piccola mia. O almeno ci darà questa impressione.

Buona notte Frida Futura, ovunque tu sia.  





giovedì 6 agosto 2015

Il Cielo Dentro : il motivo per cui avere un figlio

Frida mi ha piantato il Cielo dentro.

Un cielo che si espande. Che si srotola su ogni altro pensiero, che dilaga sulle zone prima oscure, che si posa sul rumore di fondo della vita che passa.

Questa mattina ho voluto tenerla in braccio e godermela. Stringerla tra le mani è come sentire sulla pelle l'impasto molle, caldo e fragrante di un pane buono. Uno di quei pani il cui profumo sembra distillato dalla Natura stessa.

Io e Frida - 6 agosto

Ora finalmente comincio a capire il motivo per cui mettere al mondo un figlio è necessario.

Dimenticatevi delle banalità che impestano i discorsi di chi vuole convincervi che bisogna farlo. Ne elenco cinque che nel corso degli anni non hanno fatto altro che rafforzare il mio desiderio di non procreare:

1) Motivo Di Necessità Imperscrutabile: Devi fare un bambino perché un bambino ci vuole
2) Motivo di Eredità Impellente: Per tramandare i tuoi geni
3) Motivo di Sdolcinato Esistenzialismo: Perché è la Vita che te lo chiede
4) Motivo di Estetica Immotivata: Perché è troppo bello avere figli
5) Motivo di Lotta Continua: Perché così la tua esistenza si rivoluziona

Questa mattina, come dicevo, sono rimasto folgorato e ho capito.

Mentre era tra le mie braccia, Frida - silenziosa - mi guarda. I suoi occhi hanno la profondità e la lontananza delle galassie. sono puntati nei miei e per la prima volta ho l'impressione che mi "guardi" davvero, che i suoi pianeti e le sue stelle entrino in collisione con i miei. Mentre placidamente precipitava nel sonno ho capito che l'Amore può avere sentieri nascosti dietro accessi altrimenti invisibili.

Ho capito che Frida ha portato nei miei giorni la Poesia.  Quella dei pensieri che hanno forma di fiori. Quella dei sogni che abitano gli alberi. Che fa muovere gli steli d'erba al ritmo di un respiro. Un neonato ha questo potere se sai ascoltare la "sua canzone che fa danzare le statue, la sua magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi" (Alda Merini).

Avere un figlio non ha niente a che fare con il piantare il seme dell'immortalità. Almeno per me che non credo in nulla dopo la vita. Avere un figlio non risponde a nessun motivo di "senso". Non ha un nuovo significato per me la mia esistenza. Sono così presuntuoso da credere che prima di Frida non ho abitato per 41 anni il nonsenso. Avere un figlio (una figlia nello specifico che mi riguarda) è "semplicemente" un'amplificazione, come se su quella mappa che disegna le coordinate di chi sei, improvvisamente, fossero comparsi nuovi continenti, terre magnifiche (e anche un po' spaventose, perché no), oceani dai nomi inediti.  Questa per me è la magia di Frida. 

Forse oggi mi è chiaro anche il motivo per cui ho deciso di tenere questo diario in forma di blog. Perché i secondi, i minuti, le ore. Scivolano attraverso le dita dei giorni come farina setacciata e rischi di perdere il sapore degli istanti e di quello che provi. 

Scrivere per me è un modo di scolpire nella pietra le sensazioni. Farle restare per sempre, mentre le onde del tempo si abbattono su tutto con furia distruttrice. Un giorno mi alzerò e mi accorgerò che Frida è grande, adulta, già in allontanamento come un satellite che ha trovato una nuova orbita. Ne sarò felice, ma non voglio che arrivi quel momento fidandomi solo di una memoria strappata e logora. Voglio che ogni mia sensazione sia come un castello su un roccia, al riparo dalla marea dell'oblio. 








lunedì 3 agosto 2015

Una settimana da padre

Come ci si sente da padre?

Questa è la domanda che mi sento rivolgere più spesso in questo periodo (già lontani i tempi quando a questa data, fino allo scorso anno, le persone mi chiedevano: "com'è andato il festival?" davanti ai figli tutto si disintegra, evidentemente). La mia risposta immediata è molto concisa e senza fronzoli: è bellissimo.

Innanzitutto devo ammettere con gioia che tutti i proclami dei "terroristi delle notti insonni" si sono rivelati, almeno fino ad ora, esatti come le profezie dei Maya che avevano visto nel 21 dicembre 2012 la fine del Mondo. quanti messaggi ho ricevuto di persone che dicevano: "benvenuto nel club di chi non dorme la notte". Quante pacche sulle spalle ho sentito mentre la faccia del "paccaro" esprimeva compatimento e afflizione misti a sordido divertimento. Quanti sorrisini sornioni ho dovuto sorbire mente il padre veterano di turno mi indicava con soddisfazione la via del tormento da neo-genitore.

Frida e Simona - 3 agosto 

La verità dei fatti? Fino ad ora (non smetterò mai di precisarlo) questa bambina è consacrata al sonno, alla serenità, alla giusta fame, alla pace. Le notti trascorrono come in balia di un cullare leggero. Si sveglia un paio di volte per attaccarsi al seno materno e quest'è. Io mi desto di soprassalto come un pirata che improvvisamente ha visto la sua nave speronata da una fregata dalla marina inglese. Ma mi riaddormento subito. E la mattina alle 8.30 sono pronto per uscire con Elrond riposato e in armonia con gli elementi.

Durante il giorno Frida è come una brezza leggera. impalpabile, silente, eppure presente. Avere una bambina è come un piccola rivoluzione dei sensi. 

Il silenzio ha preso un'altra forma, più pieno e sereno. Quando dorme, e lo fa tanto, la casa si riempie di una nuvola immobile. È un silenzio nuovo, che non è quella mesta assenza di suoni delle case vuote e nemmeno quello rigido e imposto di chi non sopporta che "si muova una mosca". È il silenzio morbido di chi si sta sintonizzando sulla vita, di chi si prepara all'inizio di una musica nuova che aspettava di ascoltare da tempo.

Anche gli odori sono diversi. La casa è piena della sua fragranza. E anche in questo caso i temibili profeti di sventura che lanciavano "bombe" in forma di pannolini sporchi ("sentirai che profumino!" dicevano col solito ghigno malefico di chi è sopravvissuto e ora si sente invincibile) hanno fallito. Lo so che potrà essere diverso in seguito, ma per ora Frida è il nome di un'essenza aromatica che riempie lo spazio e carezza le pareti.

Frida sul fasciatoio - 1 agosto

Devo ammettere che il ruolo del padre in questa prima fase è, se non accessorio, sicuramente di puro supporto. A volte guardo a me stesso come a quelle patetiche comparse in uno spettacolo teatrale che hanno una sola mezza battuta da dire (tipo "buongiorno signora") e stanno tutto il tempo a provarla, emozionati fino allo sfinimento all'idea di doverla recitare bene e fare una buona impressione, inconsapevoli (o dimentichi) del fatto che la scena è tutta per i veri protagonisti (nello specifico: la madre e la bambina). 

Che può fare questo povero padre-comparsa? cullare di tanto in tanto la figlia. fare da mezzo di trasporto per il fagottino (dalla stanza da letto a quella del fasciatoio, dal divano al letto e così via). Uscire per comprare il necessario. Cucinare quando la madre allatta. Certo tutte azioni lodevoli, ma lontane dal centro del proscenio dove gli occhi di tutti sono puntati e dove ogni giorno lo spettacolo in cartellone (madre con bambina) offre spunti sempre nuovi di tenerezza e di bellezza. 

Eppure ogni tanto capita alla povera comparsa di ritagliarsi una fetta di felicità fuori programma. 

Come l'altro giorno, quando Simona si è giustamente presa un po' di tempo tutto per sé (anche recarsi dall'estetista può essere un segno di uno sperato ritorno alla normalità) e io sono rimasto solo con Frida ed Elrond a casa. Logicamente ho sentito le dita fredda del panico stringersi intorno al collo, quando la piccola ha cominciato a piangere. 

Disorientato come un topo che si trova in mezzo a un prato con un'aquila che volteggia affamata sopra di lui, ho cercato di elaborare un piano di fuga. Armato di coraggio ho raccolto Frida frignante dalla culla e mi sono piazzato davanti alla tv adagiandola sulle mie gambe arcuate a forma di ponte. Mi sono sintonizzato su un bellissimo documentario su Venezia, città del cuore che presto dovrò presentare alla mia bambina, e ho cominciato a cullarla. 

Con l'aiuto del ciuccio (o succhietto o ciucciotto, fate voi... tanto tutti questi nomi mi fanno rivoltare l'intestino crasso. Come al solito gli anglosassoni hanno un termine molto più idoneo e cool: "pacifier", il pacificatore!) e del climatizzatore impostato su una temperatura gradevolissima (e forse del tono monocorde della voce narrante del documentario) dopo poco la piccola è caduta in trance (come testimonia la foto) e io mi sono goduto tre quarti d'ora di puro momento: padre-figlia.

Io e Frida - 31 luglio

Per riassumere: se ora qualcuno mi chiedesse "Com'è avere una figlia?" io risponderei con un sorriso limpido citando (anzi parafrasando) il buon Neruda: "Frida sta facendo con me quella che la primavera fa con i ciliegi".







venerdì 31 luglio 2015

Indifferenza a prima vista: Elrond conosce Frida

Immaginate un incontro tra una straordinaria pittrice messicana che ha fatto della sua vita una (dolente) opera d'arte - FRIDA- e un personaggio fantasy di rara eleganza e nobiltà, il sire elfico di Gran Burrone che è tra le figure più potenti dell'universo de Il signore degli Anelli: ELROND.

Chissà che si direbbero in questo improbabile rendez-vous surreale e suggestivo. Non ho proprio idea di cosa avverrebbe tra di loro, ma posso testimoniare di quello che è avvenuto tra la "mia" Frida e il "mio" Elrond: due pezzi del mio cuore e della mia vita. Mia figlia e il mio prezioso amico a quatto zampe.

Frida ed Elrond - 30 luglio

Premessa d'obbligo: in questi giorni non ricordo più quante volte le persone ( i parenti più stretti nello specifico) ci hanno lavato il cervello a furia di: "Attenti al cane. Mi raccomando. Non lasciateli mai soli. State sempre con gli occhi aperti. Non vi fidate" e così via. Ora rispondo definitivamente, anche per iscritto: 

1. Io e Simona non siamo due sprovveduti e io ho scritto anche un libro sui cani, con il grande Roberto Mucelli, e finanche un paio di capitoli di Io e il cane sono dedicati al rapporto tra bambino e amico a 4 zampe.

2. C'è troppa demonizzazione mediatica sul cane in casa e sulla relazione con i piccoli. L'ignoranza (che è il sonno della ragione) da sempre partorisce mostri. Tra questi il più famelico è "la preoccupazione ad oltranza". Non sono i cani ad uccidere i piccoli umani, ma l'imbecillità di chi non sa gestire le situazioni e sempre quel padre di mostri infami che è l'Ignoranza. 

3. Conseguenza dei punti uno e due: non sottovaluteremmo mai tutte le dinamiche di rapporto tra cane e neonato, perché amiamo Elrond e siamo già pazzi di Frida. In noi non c'è mai stata scelleratezza e non vedo come dovrebbe rivelarsi improvvisamente adesso. Quindi parenti, please, smettetela con le vostre avvertenze d'uso.

E ora veniamo al racconto.

Arriviamo a casa in mattinata. Elrond ci accoglie con quel modo specifico dei cani di farti sentire indispensabile. Come se fossi Ulisse che torna a Itaca dopo vent'anni, mentre sei mancato non più di mezz'ora (ma quanti anni è vissuto il cane Argo se dopo due decadi era ancora lì ad aspettare il suo padrone e a riconoscerlo? I veterinari dell'antica Grecia erano dei geni oppure gli animali particolarmente longevi). Io ho il portenfant in mano e dentro c'è Frida che dorme placida. Elrond sembra già interessato al nuovo arrivo.

Dopo un po' dispongo questo cesto-culletta sul tavolo perché non ci fidiamo ancora a metterlo ad altezza Elrond. Ma dopo un po' la piccola si sveglia lanciando i suoi allarmi foratimpani a forma di "ngué". In quel momento scatta l'istinto predatore del nostro border. E si attiva la mia preoccupazione.  

Io conosco bene Elrond e lui ha un'indole da cacciatore per i gatti. Lui non è uno di quei cani "degenerati" che convivono placidamente con i felini (lo dico subito, sono ironico... so quanto possano essere seri e polemici i cinofili-gattofili). Lui gli staccherebbe il collo a tutti e infatti in più di un'occasione ci ha provato. Perché dico questo? Perché il richiamo dei gatti in calore, che per Elrond ha lo stesso valore attrattivo di bicchiere di sangue verginale messo sotto al naso di un vampiro affamato, somiglia in maniera pericolosa ai vagiti di un bambino.

Eccolo che si avvicina al portenfant con le orecchie ritte, la coda a scorpione e gli occhi iniettati di sana curiosità assassina. Noi lo teniamo a bada, ma allo stesso tempo non abbiamo intenzione di "punirlo" con l'allontanamento coatto. Anzi deve arrivare il momento della presentazione ufficiale. 

Scegliamo la poppata come "situazione" ideale per l'avvicinamento. Sarei bugiardo se dicessi che sono tranquillo. In me ecco precipitare a valle le immagini di tanti film macabri ("Cujo" su tutti) e  di pensieri nefasti. Ma vinciamo le paure, più mie che di Simona, e lasciamo che la punta del naso di Elrond incontri il piedino scalciante di Frida e meglio ancora la sua zucca semipelata e ancora così fragile.

Simona allatta e Elrond si muove intorno a loro, come uno squalo intorno a una tavola di windsurf  condita di umano. (la foto più su parla chiaro). Poi si sposta verso il "contenitore" di Frida. Il portenfant. Più volte si mette a due zampe per salire a guardare cosa ci sia là dentro. Per sentire gli odori che possono dare qualche notizia sul suo abitante umano. 

Fatto sta che dopo pochi minuti Elrond sembra aver perso interesse per il nuovo arrivato. Certo la guarda con perplessità quando ricomincia a piangere, ma dopo un attimo si allontana annoiato come un fratello adolescente che si vede piombare in casa un fagotto di sorella che non promette nulla di buono. Ancora qualche minuto e Elrond diventa immune anche ai suoi versetti alieni.

La giornata trascorre tranquilla e la notte lasciamo che Elrond continui a dormire nella nostra stanza come ha sempre fatto, anche se ora accanto al letto è spuntata una "cuccia" principesca per questo neoarrivato nel nostro branco. Vedremo come evolverà questo rapporto, ma per ora è possiamo riassumere il loro rapporto in un deciso: "indifferenza a prima vista"!










mercoledì 29 luglio 2015

Il giorno in cui è nata mia figlia

Frida c'è. 
Dopo averla immaginata, sognata, intuita è venuta alla luce (elettrica) di una sala parto alle 15:17 di un lunedì di fine luglio.

Frida all'età di 3 ore
Tutti si sono sorpresi per l'eleganza della sua puntualità. Perché il gesto della nascita è arrivato con esattezza di sceneggiatura il giorno dopo la chiusura del grande delirio del festival di Giffoni, dove Simona e, soprattutto, io eravamo impegnati fino al collo. Se fosse nata solo un giorno prima sarebbe stata, non dico una catastrofe, ma certamente una bella "gatta da pelare".

Quello che invece ha colpito me è stata la violenza e la bellezza del parto. E della sua preparazione. La formazione esistenziale di un essere umano di sesso maschile non si può dire completa se non ha vissuto un'esperienza intensa come questa. Come osservatore, s'intende.

La venuta al Mondo di un bambino, quando non asetticamente "composta" a tavolino con il taglio cesareo, è una lotta di corpi. È una coreografia di dolori e di emozioni in cui la Madre e la Figlia (o il figlio) recitano le uniche parti che contano. 

La locuzione "parto naturale" evoca in tutti la limpidezza, la semplicità, la scorrevolezza di qualcosa che funziona quasi in automatico. Invece la parola "naturale" alla fine della giornata si rivela per quello che è: la definizione di qualcosa di drammatico, di aggressivo, finanche di "infernale". 
Infernale come solo la Natura sa essere.

Si comincia con il travaglio. Io sono vicino a Simona. Le tengo la mano mentre le onde di dolore montano in lei, monitorate dal "tracciato" di un macchina che ne segue l'evoluzione. Presto i numeri sul piccolo monitor senza fronzoli mi diventano familiari. E quando una certa cifra aumenta sul cardiotocografo (in particolare presto i miei occhi si focalizzano sul valore "toco" che evidentemente misura il picco della contrazione uterina) vedo sul volto di Simona comparire lo strazio.

Col passare dei minuti, delle mezzore, delle ore (ma non tante) il dolore la fa prigioniera. Il suo sguardo si allontana sempre di più, come se fosse ormai concentrato su una zona distante che solo lei può vedere. Il dolore può stordire e quello del travaglio è come uno stupefacente che ti scolla dalla realtà e ti porta in una dimensione in cui, immagino, tutto si distorce in una prospettiva personale. 

Imparo un altro termine che si rivela sempre più luminoso. Come un'insegna che inizialmente ti è estranea, ma poi capisci che è l'unica che ti porterà a destinazione. Il termine in questione è "dilatazione". Qui si parla in centimetri. Maria la dolce ostetrica, giovane e dal volto rassicurante, che a guardarla sembra più una ricercatrice universitaria (precaria) di filosofia che una infermiera specializzata in far nascere bambini, ci fa sapere che la dilatazione della vagina va alla grande. È passata dall'un centimetro delle 10 del mattino ai 4 cm alle 12:30. "siamo a metà strada" ci dice sussurrando e palesemente soddisfatta. "Metà strada", penso io terrificato, guardando la smorfia dolente che è la maschera piazzata salda sul volto di Simona.

Quando la dilatazione è completa mancheranno dieci minuti alle 15. Mi avvio in sala parto. Non si potrebbe entrare, ma mi danno un permesso speciale. Non voglio perdermi questi momenti in cui la lotta si fa più dura, in cui la vita reclama gridando un nuovo posto in mezzo a noi. 

Nei film le sale parto sono piene di macchinari e di colori, il trionfo dell'asettico scintillio del dispositivo elettronico. Nella realtà, quella dove di lì a poco nascerà Frida, è una stanza sì piena di apparecchi dall'aspetto medico, ma questi hanno tutta l'aria di residuati malconci e antiquati, che stanno lì come come pezzi di scenografia da una scena girata in precedenza e non ancora sbaraccati.

In fin dei conti per partorire occorre l'essenziale: un lettino con supporti per le cosce, una lampada che fa luce come i fari del San Siro, un'ostetrica che conduce le manovre davanti alla povera donna divaricata e sudata, il medico che impartisce ordini soavi e si prodiga in consigli che non credo vengano recepiti del tutto e, al limite, un'assistente navigata, svelta ed emozionata per il parto come uno spettatore che vede per la 170ma volta lo stesso film. Addirittura per sentire il battito si ricorre ancora a un aggeggio di legno (vedi foto sotto) che sembra un calice flute dove sorseggiare del "latte spumante" (non esiste, ma sarebbe bello berlo).

Stetoscopio Pinard

Gli ultimi dieci minuti prima dell'uscita di Frida rispettano il classico crescendo (leggasi "climax") di ogni buona storia che si rispetti. Il dolore incalza e deforma in smorfie sataniche il volto di Simona. Le sue mani si tengono sempre più strette alle staffe. I capelli sono zuppi e gli sbuffi della respirazione sono sincopati e bollenti. Io le faccio sentire che ci sono. L'emozione cresce in me, ma non sovrasta il senso cinematografico del momento. Sono concentrato sui dettagli, sono entusiasta di star assistendo a quella esplosione esistenziale che è la nascita.

L'ostetrica mi dice di spostarmi avanti. Si intravedono i capelli di Frida. La testa mi appare - attraverso la stretta feritoia del sesso di mia moglie - come un parallelepipedo piuttosto che come una sfera. Dicono a Simona di spingere con forza. Lei pensa di non farcela. Credo che tutte le madri del Mondo in questo momento hanno la sensazione di perdere le forze, di essere inadeguate fisicamente, di non riuscire a espellere questo "amatissimo nemico" in corpo (non esiste che  si può amare il proprio figlio nell'attimo in cui passa attraverso le tue viscere, nessuno mi convincerà del contrario).

Poi ecco la testa. Quante volte l'ho visto nei film questo momento? Eppure dal vivo è tutto un altro spettacolo. È come aver immaginato il mare per una vita, visto in foto, ripreso in video e poi improvvisamente, per la prima volta, ti ritrovi di fronte alla sua maestosa presenza con tutto il corteo di profumi, di suoni, di brezze alate.

Certo la nascita è molto meno poetica. Molto meno profumata. Molto meno pulita. Molto meno silenziosa.

Tagliano il cordone. Che ne film mi è sempre sembrato più stretto e più aggraziato. Frida piange. È il vagito primitivo che annuncia l'entrata in scena di un nuovo essere umano e della fine della nostra  (mia e di Simona) vecchia vita.

Io non piango, sono ancora stordito dalla bellezza del momento. Lei piange, invece, forse preoccupata dalla bruttezza del Mondo. E mentre la depositano nelle mie mani risuonano in me i versi di una poetessa che amo molto (Marina Cvetaeva):

Vieni vicino al mio petto,
più stretto:
nascere, piccolo, é cadere nel tempo.
Dal non-dove, non-terra,
così rovinosa discesa!
Da spirito in – polvere!
Piangi, bambino, per te, per tutti:
nascere – é cadere nel corpo!
Piangi, piccolo, per il futuro, e ancora:
nascere – é cadere nel giorno!

La tengo piano, impaurito per la fragilità di un essere appena coniato. Non penso che quella è mia figlia. Non penso che quel piccolo umano di tre chili e mezzo farà saltare ogni impalcatura della mia vita fino a quel momento. Non penso a quello che è, quello che è stato e a quello che verrà. Non penso a nulla, come se avessero staccato la corrente nel cervello.

La sua leggerezza nelle mie mani diventa la leggerezza improvvisa del Mondo. E io con lei cado nel tempo.





giovedì 16 luglio 2015

La pancia al piede, ovvero i tormenti della gravidanza

Se fossi una donna che si sente dire: "la gravidanza è uno stato di grazia, goditela", sfodererei il mio sorriso più luminoso e poi colpirei con una testata sul setto nasale l'autore dell'affermazione. 

Simona: 37 settimane e 3 giorni
Simona è arrivata al nono mese. Ho osservato da vicino questo cammino tortuoso che ora si avvia al termine. L'ho visto iniziare come un percorso tranquillo, una passeggiata in una valle più o meno fiorita per poi diventare un gara di trekking sempre più impegnativa, fino a trasformarsi in un calvario (ma senza sputi e colpi nel costato).

Io di gravidanza ne sapevo poco fino a che non ne ho visto una da vicino. Ne sapevo quello che tutti i maschi adulti ne sanno: un concentrato di conoscenze vaghe e misteriose, condite da una densità così alta di luoghi comuni che la gestazione finisce per diventare poco più che una storia da cartone animato.

Per esempio io immaginavo Simona sconvolta da nausee così violente da rendere la nostra vita come un viaggio a bordo di una nave di marinai in mezzo a un oceano di onde alte quanto un palazzo. Immaginavo mia moglie incazzata nera ogni giorno per il vomito sempre a fior di labbra. La realtà: nemmeno una nausea, nemmeno un accenno in nove mesi. Ne ho avute più io a contatto con certe persone che incontri ogni tanto sulla tua strada. 

Altro stereotipo è quello della mamma felice della sua pancia. Ormai Simona se potesse prendere un'ascia e togliersela dal corpo (senza far male a Frida per carità) non se lo farebbe dire due volte. La pancia le piace come può piacere a un prigioniero da fumetto quella grossa palla al piede nera che lo tiene schiavo della legge. Si può dire che quella della gravidanza è una vera "pancia la piede". 

La pancia è un macigno conficcato tra costole, inguine, vescica, schiena. Costringe Simona ad alzarsi ogni ora per andare in bagno. Pesa sulle gambe e sui piedi che sono diventati gonfi ed enormi come quelli di Fiona, la moglie di Shrek (ma senza quel simpatico colorito verde, per fortuna).

Quando deve alzarsi dal letto o dal divano sembra Gregor Samsa (questa la capisce solo chi ha letto La Metamorfosi del mio amato Kafka).

Quando deve salire le scale sembra un alpinista che sta scalando il K2 dopo che ha passato la notte a scongelarsi i testicoli.

Quando deve infilarsi le scarpe ha la stessa grazia di un pellicano rimasto invischiato in una marea nera di petrolio. 

Per non parlare poi di tutte le privazioni a cui va incontro chi è in "dolce attesa" (ma quale mente sadica e bacata ha partorito questa locuzione? è un'attesa che diventa estenuante, dolce come uno yogurt greco lasciato fuori al sole di questa estate infernale).

La verdura e la frutta devi lavarla così bene e con tanta meticolosità per il pericolo toxoplasmosi che fai prima a sgrezzare un diamante sudafricano  (il solo pronunciarla questa malattia mi fa uscire gli occhi dai bulbi) . Non puoi mangiare frutti di mare, non puoi mangiare svariati tipi di formaggio, non puoi prendere questo e non puoi assaggiare quello. 

E non puoi usare medicine, così quando arriva un'allergia di stagione, ti può prendere a cazzotti in faccia fino a farti somigliare (tra starnuti, muco, occhi arrossati) a un boxer che ha appena fatto il suo primo allenamento che si trova per sbaglio a salire sul ring con Mike Tyson. 

Insomma la natura non è stupida. Ti rende così insopportabile l'attesa (certo quella dolce) che ti dimentichi che sul traguardo ti aspetta il "mostro di fine livello" (questa la capiscono soltanto i giocatori di videogame, i nerd, i geek e quelli degli anni 80 che andavano a spendere tutti i soldi dei genitori in quelle sale giochi pieni di suoni orrendi e luci maniacali), cioè il parto, cioè quel simpatico momento in cui un essere umano con tanto di testa, spalle, braccia, gambe e piedi ti esce dal corpo, con la stessa dimestichezza con cui una palla da bowling si prende la briga di cercare un varco attraverso l'apertura di un portamonete!