Ora che Frida ha quasi due mesi mi appare più chiara la posizione di un neo-genitore.
È una posizione da acrobata, in bilico, alla ricerca di un equilibrio su quel filo teso tra due sponde che portano nomi suggestivi e antichi: Sorriso e Pianto.
Molti definiscono quella della genitorialità un’avventura. Mi sembra pertinente. Portare alla luce un figlio è "un'impresa costellata di rischi, ma assolutamente attraente e piena di fascino per ciò che vi è in essa d’ignoto o d’inaspettato". Così definisce Treccani l'avventura e mi sembra - parola per parola - il dipinto fedelissimo dell'esperienza di un genitore.
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Frida - 19 settembre |
E l'avventura è spesso un viaggio. Uno di quelli memorabili, uno di quelli che attraverso il pericolo e la gioia della scoperta: ti scortica delle tue abitudini, ti mette di fronte a un nuovo "te stesso", ti scombina tutti i punti sulle i, ti capovolge il tavolo su cui stavi giocando le tue carte, ti fa muovere il culo pesantemente adagiato nella tua "comfort zone".
Avere un figlio ti fa morire un po' meno, ogni giorno. Se è vero, e io sono convinto che lo sia, che si decede lentamente, goccia a goccia, se non si ha il coraggio di mettersi in gioco e di darsi in pasto al rischio (questo non significa che l'unica strada per evitare la morte a piccole dosi sia diventare genitori, ci sono infiniti modi per raggiungere questa magnifica rivoluzione permanente).
E in quanto "viaggio" l'essere padre mi è parso da subito un cammino a tappe, fatto di punti di arrivo e di ripartenza (spesso coincidenti).
I primi 20 giorni sono quelli del frastornamento. Quelli in cui ho accolto nella mia vita lo tsunami di morbida pelle che è Frida. È come prendersi un'onda in piena faccia. Ma lei si è aiutata a farsi volere bene. Dormendo, non strepitando, alternando con giusto equilibrio sonno e piccola veglia per cibarsi dal seno di Simona.
Dopo queste prime tre settimane di silenzioso adattamento reciproco senza danni, la piccola ha "aperto gli occhi". Ha cominciato a tirar fuori le unghia per aggrapparsi alla schiena del tempo. Non si accontenta più di dormire e mangiare, ma ha cominciato a "chiedere e pretendere".
È così che abbiamo fatto conoscenza con il potere malefico del Pianto. Questa comunicazione primitiva e senza compromessi che ha la capacità di scavarti la pelle, la carne e arrivarti alle ossa per scuoterti senza pietà. Senza considerazioni delle tue stanchezze, delle tue idiosincrasie, dei tuoi tempi, dei tuoi stati d'animo. Abbiamo cominciato a conoscere l'indifferenza del pianto che nei primi giorni ti appare una (non)lingua incomprensibile che è così essenziale da essere inadeguata all'essere umano. È come se fosse un linguaggio con una sola parola che contenesse tutti i significati possibili.
Ma i giorni passano e già superata la boa del primo mese è come se avessi affinato un senso ulteriore: quello che ti permette di distinguere e scomporre l'essenzialità di quel pianto (che poi se si riflette non si discosta dall'imparare davvero una nuova lingua di cui all'inizio non riesci a riconoscere neppure dove finisce una parola e inizia la successiva). Ti comincia ad apparire più ricco di sfumature e di significati. Riesci a dare un senso a quei suoni così acuti che sei sicuro siano stati creati apposta per spappolarti il cervello.
Naturalmente finisci per temere il pianto e il tuo scopo quotidiano, come genitore, diventa sciogliere quel nodo di dolore che stringe la gola di tua figlia. Rispondi al suo allarme con la solerzia di un nostromo a cui si chiede di portare fuori la sua barca da una tempesta perfetta.
Come dicevo all'inizio però c'è l'altra sponda. C'è il Sorriso. Si forma più lentamente nei nostri giorni, ma quando sboccia le prime volte sulle labbra di Frida (e questo sono certo vale per chiunque abbia un pargolo in casa) è come se la primavera mostrasse il suo volto nascosto. Il sorriso di un neonato è un concentrato di stupore. È la rivelazione dell'umanità del tuo bambino.
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Frida - 22 agosto |
Il pianto è animale, il sorriso è tutto della nostra specie. Il pianto è egoista, il sorriso è un arco sociale lanciato tra te e un essere umano appena coniato. Il pianto è un grido, il sorriso è un sussurro.
Quello che trovo affascinante è vedere come cresce quel suo Sorriso. Come si rafforza, come si edifica a partire dalla fondamenta di un accenno di smorfia. Frida ha avuto quell'accenno sin dalle primissime ore della sua vita. Ma non significa nulla. Il suo vero sorriso nasce tra il 45° e il 50° giorno. Da allora è un continuo raffinarsi, un continuo apparire, un continuo rispecchiamento nelle nostre piccole risate ebeti di genitori e parenti ridotti allo stato di poltiglia emotiva.
Ma cosa c'è di così sorprendente in un sorriso di un neonato? È sicuramente il sentirsi finalmente in contatto. E senza dubbio la consapevolezza che in quell'attimo tua figlia sta vivendo una piccola felicità, un "quanto" di benessere che è l'antimateria del pianto. E il pianto è il tuo nemico, come ho detto prima.
Siamo appesi a quei sorrisi noi genitori. Ne diventiamo drogati. "Smileaddicted" ci potremmo definire con un termine anglo-chic. Siamo lì che facciamo di tutto per vederlo fiorire su quel volto che è un prato di amore infinito. E quando spunta ci inebriamo col suo profumo, lo cogliamo subito e ce lo teniamo stretto, prima di una nuova attesissima dose.