martedì 28 aprile 2015

Oggi è il compleanno di tua madre, Frida

Cara Frida,
oggi voglio parlarti di tua madre. Oggi che compie 33 anni in questo che per lei è il suo ultimo compleanno da "non-mamma". 

Simona a Castell'arquato - 5 mese di gravidanza
Se tu potessi vederla adesso non ti accorgeresti nemmeno che ha te dentro di sé. Quando, come adesso, è seduta a leggere sul divano, fai fatica a capire che sia incinta. La gravidanza non l'ha sformata come succede a tante donne che finiscono per prendere la stazza di Ursula, la strega del mare della Sirenetta. La gravidanza ha arrotondato la sua pancia, ma per il resto sta passando su di lei come se fosse una brezza. 

Frida imparerai presto a capire che tua madre tiene al suo corpo. Ti dirà spesso che "da ragazza" era un talento della pallavolo. E imparerai da subito che niente può trattenerla dal far sport ogni giorno, dal macinare chilometri di corsa (o camminando, come adesso che non può farti ballonzolare troppo nel tuo sonnolento liquido amniotico) mentre ascolta decine di canzoni col suo inseparabile Spotify o dal sollevare chili di peso in palestra, orgogliosa dei suoi squat come Tony Stark della sua armatura di Iron Man. 

Tua mamma è bella Frida, ma non lo dico perché sono innamorato di lei da quando la prima volta l'ho vista recitare in un piccolo film girato da un mio amico. Certo gli occhi innamorati sono come lenti deformanti che trasformano in gloria anche un "sanitario". Ma Simona è di una tale bellezza che nessuno può dire il contrario. Rapisce ogni sguardo, anche quello femminile. E lo fa con naturalezza, senza ostentazione, senza arroganza, senza imposizione. Tu la guardi e ti sembra che la sua avvenenza fisica sia lo specchio preciso di uno splendore interiore, come se corpo e anima fossero le due (belle) facce di una stessa preziosa moneta. Una di quelle monete che tutti vogliono avere in tasca, perché portano fortuna.

Cara Frida, però, non farti ingannare dal suo aspetto dolce e immacolato. Tua mamma sa imporsi e sa ruggire. E non sarà facile spuntarla con lei. Quando è concentrata sul lavoro è come se fosse un orso in una caverna. Avvicinarsi rischia di lasciarti con delle ferite. Meglio pascolare placidamente intorno all'entrata e attendere che esca lei da quell'antro. Credimi. Ne ho esperienza.

Vi guardo e siete tutt'uno, adesso. Lei è tutta intorno a te ora. Ti contiene. Siete il sovvertimento di una matematica: l'uno più uno che dà come risultato non due, ma Uno. In fondo l'amore è questo: la messa al bando della logica, anche quella matematica. 

Piccola Frida, che ti appresti a venire al Mondo lacerando il muro d'ombra dietro al quali danzi  lenta e incosciente, ancora un po' e avrai la fortuna di conoscere tua madre. Conoscerai il calore dei suoi abbracci. La carezza piena delle sue mani. Il vento fresco del suo sguardo. Conoscerai il sapore del suo latte e presto capirai perché lei è per me quello che sono la pioggia e il sole per i campi.

Frida porta per favore a tua madre, dal di dentro, queste parole. E dille che l'amo. 











giovedì 23 aprile 2015

Alle porte del settimo mese - la querencia

25 settimane e 4 giorni. Altri pochi giorni e Simona entra nel settimo mese. Mi piace questo concetto di entrare nel tempo. Mi fa pensare a un gioco d'avventura. A un castello con nove porte, varcata ognuna delle quali ci si ritrova in uno spazio diverso, in un Mondo nuovo, colorato di scoperte inedite  e frusciante di pericoli inaspettati o di stupori non immaginabili.

Cinzia Benigni, Tauromachia, 2013, acquatinta e acquaforte su carta rosaspina, 15 x 20 cm

Ieri sera ho visto la pancia di Simona muoversi "da sola" per la prima volta. Ormai la sento quotidianamente, la bimba, mandare i suoi segnali dalla sua esistenza buia e solitaria nelle placide acque di "Lago Placenta", ma mai avevo visto la rotondità di mia moglie deformarsi e scuotersi come se si formasse una perturbazione interiore. Ecco una di quelle scoperte dietro la porta del Sesto Mese che ormai si sta chiudendo. Ancora quattro giorni e questa stanza sarà relegata al tempo del ricordo, murata per sempre, come succede inevitabilmente al "tempo passato". E senza scricchiolii si entrerà in uno spazio nuovo.

Se dovessi scrivere un diario del sesto mese partirei dal titolo che contiene il senso di tutto: "una silenziosa consapevolezza". La sua pancia cresce, ma senza esplodere. Le analisi sono buone. La dottoressa si complimenta con mia moglie per la sua forma fisica. Si complimenta con me perché mi vede "presente" e consapevole (essere consapevole, se andiamo alla radice etimologica, può legarsi al concetto di "prendere coscienza di un sapore". Ecco per me voglio che significhi questo: sto prendendo gusto a Frida!). I parenti fanno meno domande. Gli amici hanno superato lo shock. Ora si aspetta al riparo.

Chi conosce bene la tauromachia, cioè quell'assurdo "spettacolo" in cui gli uomini combattono con i tori (la corrida),  sa cosa significa la parola querencia. Si usa per indicare la zona in cui, nella spaventosa e tragica confusione dell'arena, il toro va a rifugiarsi per stare al sicuro. Lì non può essere attaccato, lì può attendere per accumulare o recuperare le energie prima di tuffarsi di nuovo nel gioco, per lui, spesso mortale. 

Io mi sento lì in questo momento: nella querencia . So che quando Frida nascerà dovrò affrontare "la battaglia", sarò nudo e senza protezione di fronte al fatto acquisito di una rivoluzione nella mia esistenza. Sarò lì nell'arena di una nuova vita, con qualche occhio dagli spalti puntato su di me, ma soprattuto con gli occhi della mia bambina ben piantati su di me

È così che mi sento adesso, alla vigilia del settimo mese. Sento di essere in quel luogo ideale dove arrivano solo ovattati i suoni di quello che sarà. Dove l'odore del nuovo si sente nell'aria e fa fremere le mie narici attente. Dove raccogliere tutte le energie possibili prima di uscire allo scoperto con un grido di felice liberazione e la paura sublime per la sfida che mi attende. 



mercoledì 15 aprile 2015

La terza pelle - i primi regali di Frida

Dispongo i regali che fino ad ora ha ricevuto Frida sul letto. Lo faccio spinto dal desiderio di vedere l'effetto che fanno. E resto in contemplazione.

I primi regali per Frida
Osservo per un tempo che mi sembra infinito. Li tocco piano per imprimerne la forma anche nella memoria delle dita. Mi viene in mente una frase di uno dei libri della mia vita (Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes): "Il regalo è contatto", ovvero una sorta di terza pelle tra colui che lo dona (la pelle di chi lo ha toccato, lo ha scelto) e chi lo riceve (la pelle di chi lo toccherà). 

Ad ogni piccolo oggetto che ci portano è come se la bambina prendesse più vita, anzi più consistenza.  Quei piccoli piedi che sono un'immagine vaporosa nella mia mente, assumono una corporeità di tenera carne, se me li figuro dentro le piccole scarpine (o pantofole?) con la faccia di coniglio che una nostra amica ci ha portato da Parigi. E quel cappotto rosa trasforma l'Idea della mia bambina in una Forma Umana che può sentire freddo e caldo, che sente sulla sua pelle la presenza di un tessuto. 

È un'impresa raccontare il momento dell'attesa. Per una madre sicuramente che vive dal "didentro" quella sinfonia in più movimenti che è la gestazione e che proprio perché così interiore e intima, non trova le parole (che sono pura esternazione). Ma anche per un padre, che da lontano (pur se così vicino, perché separato da suo figlio solo da pochi millimetri di pelle) non può che amare per immaginazione. L'attesa è un colloquio continuo con un fantasma che non vedi l'ora che acquisti un corpo. È un pensiero in forma di nuvola, una di quelle che in cielo prendono mille sembianze. 

Oriana Fallaci (sempre lei) scrive "Il frutto della paternità vi viene scodellato dinanzi come una minestra già cotta, posato sul letto come una camicia stirata. Non avete che da dargli un cognome se siete sposati, neanche quello se siete fuggiti". In questo caso non sono d'accordo con lei. Io sto allevando dentro di me il gusto di quel frutto, giorno dopo giorno. Io sto tenendo tra le mani l'orlo di quella camicia, ne sto saggiando col passare dei giorni il profumo del tessuto. Io non le darò solo un cognome (peraltro il mio non mi piace nemmeno), ma consegnerò nelle sue mani la mia voglia di renderla viva.

E ora di riporre quei piccoli regali nell'armadio. Di farli riposare nel buio dell'attesa. Sono lì che ti aspettano Frida... sono tuoi e sanno già di te. 


sabato 11 aprile 2015

Il senso in più

Ieri sera stavo guidando quando ho preso coscienza di una novità su me stesso, di un principio di trasformazione del mio essere (niente paura, non è roba da X-men).

Bambini di Berlino - © Manlio Castagna

Simona accanto a me come sempre, da quando è incinta, mi invita alla prudenza. A evitare tutte le buche (le strade del Sud somigliano a quelle di un territorio di guerra, ma mentre queste ultime hanno l'attenuante di essere corrotte da mine e da bombardamenti, le nostre hanno come unica motivazione la strafottenza di chi le costruisce risparmiando su tutto, tranne che sulla imbecillità e sulla delinquente inettitudine). A non sorpassare quei veicoli che procedono a una velocità che sfida tutte le leggi della fisica del movimento: lenti come fanno l'amore le persone molto anziane. 

Mentre guidavo in queste condizioni, io che di solito sorpasso di "default" (anche se davanti a me c'è un calabrone preferisco mettere la freccia e passargli accanto a tutta velocità, piuttosto che schiacciarlo contro il parabrezza), mi sono visto costretto a stare dietro a un serpentone di macchine degno della più becera delle processioni.

Sbuffando interiormente mi sono presto rassegnato. Poi qualcosa ha attirato la mia attenzione. Una bambina nella macchina di fronte che mi guardava attraverso il lunotto posteriore. capelli biondi, occhi grandi, pallida come un'eroina di un romanzo ottocentesco. Aveva la faccia concentrata in uno di quei giochi mentali di cui solo chi li inventa nel proprio cervello conosce regole, dinamiche e scopi. Chi di noi in auto, da bambini, annoiati e sbadiglianti fino allo solamente delle mascelle,  non si produceva in immaginazioni ludiche per annientare l'attesa dell'arrivo a destinazione? 

Nell'abitacolo quella bambina era del tutto "distaccata" dagli adulti seduti sui sedili anteriori. Dando loro le spalle era immersa nei suoi pensieri e in questo gioco dell'osservazione. Sembrava fissarmi in certi momenti, in altri sembrava persa con lo sguardo a pascolare tra le nuvole. In altri momenti ancora potevo notare le sue labbra chiacchierare in un dialogo solitario. 

Guardandola mi sono scoperto a chiedermi: "Frida un giorno somiglierà a questa bambina?". Si produrrà in queste fantasie da auto? Avrà quegli occhi liquidi che nuotano dentro spazi solo suoi? la sorte le donerà dei capelli biondi, ricci come i miei, lunghi e mossi come quelli dalla madre? avrà questa espressione malinconica da romanzo vittoriano o sarà una luminosa moretta dal piglio pestifero?

Da quel momento per tutta la serata, durante la mia passeggiata per Salerno, ho cominciato ad osservare i bambini (le bambine di più) provando a immaginare. Provando ad estrarre dai loro volti, dai loro movimenti, dalle loro espressioni quei tratti che mi piacerebbe rintracciare in Frida. 

Mi sono reso conto improvvisamente di qualcosa di nuovo che mi stava (che mi sta) capitando. Come se mi fosse spuntato un radar in mezzo al petto (non ho mai visto tanti bambini come ieri sera) o come se ai cinque canonici sensi, se ne fosse aggiunto un sesto. Una capacità percettiva diversa attraverso cui guardare al mondo dei bambini. Ho realizzato che con un figlio (una figlia) nasce anche un padre. Un padre è semplicemente un uomo che ha un diverso istinto e una aumentata capacità di percepire armonie e dissonanze laddove prima vedeva solo piccoli omuncoli o donnuncole dai comportamenti bizzarri e spesso incomprensibili. 

Ieri per la prima volta ho guardato ai bambini con empatia e non con un semplice interesse entomologico (come si guardano a degli insetti per decifrarne dei comportamenti). E così ho avuto  l'improvvisa certezza che l'attesa di Frida è un'emozione prolungata, a volte nascosta nelle pieghe del giorno, altre volte affiorante con prepotenza come un albero piantato al centro della strada, ma sempre una condizione costante. Immanente direbbe qualcuno che bazzica con la filosofia.




mercoledì 8 aprile 2015

La memoria dei nostri figli

Noi siamo qui per essere la memoria dei nostri figli.  Non ricordo dove ho letto questa frase (forse ne "L'ombra del bastone" di Mauro Corona). O se mi è capitata di ascoltarla in un dialogo di un film. 


Però, come sempre faccio con ciò che mi sorprende, l'ho appuntata. Non mi importa da dove provenga. È un pensiero potente, musicale, intenso e non posso che sentirlo mio. In fondo diventano parte delle nostra carne gli aforismi che sentiamo più nostri, quelli che ci somigliano. O somigliano al nostro pensare.

Frida - ecografia 23ma settimana

Voglio essere per Frida la memoria di un tempo che non ha mai vissuto. Voglio essere per lei un “cassetto pieno di ricordi” che può aprire a suo piacimento e dentro il quale può mettersi a sfogliarli. Non uno di quei tiretti polverosi dove le cose riposano dimenticate in una cianfrusaglia che toglie loro dignità e identità (quanti di noi hanno a casa posti del genere, dove giace ciò che ormai non ci è più utile o di cui abbiamo scordato la funzione. cose di cui non sappiamo liberarci, perché aspettiamo quel giorno in cui avranno di nuovo un senso), bensì un “posto” vivo dove anche le memorie sono vive. 

Voglio raccontarle le storie di uomini che non ci sono più, di musica che si è smesso di ascoltare, di quadri che la gente ha dimenticato. Voglio narrarle di quei giorni che si ammassano alle spalle del primo giorno in cui lei sarà in questo Mondo. Quei giorni che saranno sbiaditi e confusi, pieni di ore, minuti e secondi che tutti insieme fanno l’impasto molle che chiamiamo “passato”.

Voglio essere la sua nostalgia di un Tempo che ha preceduto il "suo tempo". Ma senza la malinconia di ciò che si è perduto. Perché come scriveva Albert Camus (tra i miei scrittori preferiti): “Il pensiero di un uomo è innanzitutto la sua nostalgia”. E allora voglio che Frida sia non solo la figlia dei miei geni, del mio seme, della mia carne, del fiume scrosciante delle mie vene, del mio amore per sua madre, ma anche e soprattutto la figlia del mio pensiero. 

Voglio essere la memoria dei profumi che mi hanno inebriato, delle poesie che mi hanno incatenato a un piacere, delle note che ho attraversato come ponti per arrivare al fondo di me stesso. 

Voglio essere per Frida il ricordo dei luoghi che ancora non ha visto. O che non vedrà mai. Quei posti che lasciano orme dentro gli occhi e come spettri ebbri danzano dentro i sogni, dentro le nostre fantasie. Voglio raccontarle di città in cui mi sono perso, quelli in cui ho trovato pezzi di me che pensavo non esistessero. Voglio dipingerle paesaggi con le tre matite colorate del mio stupore. 

Noi siamo qui per essere la memoria dei nostri figli.

Per ricordar loro che quando si viene alla luce, non lo si fa dentro una caverna buia, ma dentro un flusso luminoso che esiste prima della loro venuta. Siamo qui, sono qui, per mostrare a Frida le strade già percorse che lei potrà decidere di guardare o ignorare, perché mostrare la via è un atto di gentilezza. E la gentilezza è il modo migliore per cominciare ogni rapporto umano. 

Noi siamo qui per essere la memoria dei nostri figli e se quella memoria perdura, non dico che ci risparmieremo la morte, ma almeno sarà più sensato il nostro affannarci nel voler restare in vita. Sarà più dolce la nostra tentazione di esistere.

domenica 5 aprile 2015

Immagina un Mondo senza religione

“Forse c’è da scoprire un tesoro che può arricchire la civiltà: ed è che vale la pena di tentare un’educazione irreligiosa”.


John Lennon cantava "immagina che non esista alcuna religione"

A scriverlo è uno degli uomini che ha segnato la storia del pensiero umano: Sigmund Freud. E io guardo sempre con grande ammirazione al barbuto professore viennese. 

Io sono pronto a tentare questa educazione con mia figlia: ad insegnarle che la religione è un’illusione, è una cattiva fantasia psichica, è un pericolo. 

Non battezzerò Frida. La simbologia che c’è dietro questo rito mi inorridisce. Pensare all’idea che nasciamo macchiati da un peccato è una dichiarazione di totale sfiducia nell’essere umano. Io non ci vedo niente di sporco e corrotto in un neonato. È sicuramente dopo, con l’aumentare dei contatti con gli altri simili, che l’uomo si insozza e finisce per diventare quello che è. Non appena è gettato nel Mondo. 

Siamo creati come corrotti e poi ci viene ordinato di fare del bene. A fare da supervisore a questo processo c’è una dittatura celestiale, una specie di Corea del Nord del regno dei cieli. Ingorda, esigente, bramosa di acritico apprezzamento dall’alba al tramonto ma sempre pronta a punire il peccato originale del quale ci ha teneramente fatto dono”. Bellissime parole di Christopher Hitchens: scrittore, giornalista, tra i più celebri e influenti critici delle religioni.  

Non le seminerò nel cervello immagini di nuvolette e cieli azzurri da depliant del Paradiso, né la terrorizzerò con le immagini torride di un Inferno rosso sangue. Non le farò credere che un Libro scritto da uomini illusi sia un testo a cui rifarsi per decidere se qualcosa è buono o qualcosa è male. 

La religione è un’illusione, come ha ben spiegato Freud nel suo libro “L’avvenire di un’illusione” che ho letto ai tempi dell’università e che da allora ha lasciato un segno profondo nel mio cervello. 

Dio  (o i vari Dei che popolano le fantasie intime di miliardi di persone) è stato creato per rispondere a un triplice compito: “1. Esorcizzare il terrore della natura. 2. Riconciliare l’Uomo con il destino (vedi morte). 3. Offrire una consolazione per le sofferenze e le privazioni della nostra vita socializzata”. Non dico che non sia “utile” Dio. E non credo di essere Ateo. Ma sono profondamente e assolutamente antireligioso e sarebbe stupido da parte mia educare diversamente mia figlia, che poi sarà libera di scegliere. Naturalmente. Ognuno ha il sacrosanto diritto di scegliersi le proprie illusioni. 

Troppi scempi si compiono in nome della religione (e lo stiamo vedendo nella cronaca nefasta degli ultimi giorni, degli ultimi mesi, degli ultimi anni, degli ultimi secoli), in nome di dogmi e di credenze che sono un potente anestetico per le persone. La religione non fa bene. Chiediamoci: “è un bene per il mondo fare appello alla nostra credulità e non al nostro scetticismo? È un bene per il mondo venerare una divinità che prende parti nelle guerre e negli affari degli uomini? Aggrapparsi alle nostre paure e al nostro senso di colpa, al nostro terrore della morte, è un bene per il mondo? Farci sentire in colpa e farci vergognare per i nostri comportamenti sessuali, è un bene per il mondo?”. (ancora Hitchens)

Io non porterò Frida a messa. Non le dirò di farsi il segno della croce quando entra in chiesa. Non le dirò che esiste il "peccato" (anche se proverò sempre a spiegarle che la propria libertà non dovrà mai intaccare, in nessun modo, quella dell'altro). Non la costringerò a seguire un’ora di lezione a scuola in cui si insegna, in maniera spesso ignorante e insensata, la religione. Varrà la pena tentare questa educazione irreligiosa. Che non significa educarla all'immoralità. Ma al pensiero libero.  

Io canterò, invece, a Frida una delle più belle canzone di tutti i tempi:

Immagina non esista paradiso
È facile se provi
Nessun inferno sotto noi
Sopra solo cielo
Immagina che tutta la gente
Viva solo per l’oggi

Niente per cui uccidere e morire
E nessuna religione
Immagina tutta la gente
Che vive in pace


"Imagine" di John Lennon. 

giovedì 2 aprile 2015

Quello che voglio per mia figlia: creatività e gioco libero

Strappiamo dalle dita dei bambini i tablet e diamo a quelle mani il ramo di un albero da afferrare. Liberiamoli dalla melma televisiva e facciamoli sporcare nel fango di un campo bagnato. Tiriamoli fuori dal flusso idiotizzante degli smartphone per lasciarli liberi di rincorrersi o per cimentarsi in una caccia al tesoro. 

Viola dei miei amici Massimo e Veronica - © Manlio Castagna

Questo sarà il mio primo scopo con Frida:  difenderla dall’ebetismo collettivo della realtà virtuale e innanzitutto da me stesso, esemplare possibile di genitore iperprotettivo.

Mi ha colpito molto una ricerca dello psicologo e biologo del Boston College, Peter Gray (da qualche giorno è uscito il suo ultimo, interessantissimo libro: "Lasciateli giocare") che da anni studia gli indici di creatività dei ragazzi americani, il quale ha rivelato un crollo spaventoso tra il 1985 e il 2008: l’85% dei teenager intervistati è scesa sotto la media dei loro predecessori. 

C’è qualcosa che non funziona più nei sistemi educativi contemporanei e io, per quanto mi è possibile e per quanto riguarda Frida, non voglio arrendermi. Sento già lo sghignazzamento di alcuni di voi, pronti a replicare: “si va bene, lo dici adesso. aspetta che nasce e poi vedrai se riesci a tenerli lontani da tv, tablet, computer e smartphone. Vediamo se li metti al riparo dalle grinfie dei Teletubbies. Vediamo se non ti fai sedurre dal potere ipnotico che la tv può avere su tua figlia, quando le sue urla e i suoi pianti saranno colpi di lancia nel tuo costato sanguinante".

Premetto che non ho intenzione di trasformare la sua vita in quella di una amish, riportandola in un 1700 privo di elettricità e di modernità. Ma bisogna avere un progetto educativo, bisogna avere delle buone intenzioni, altrimenti si finisce per soccombere all'emergenza e a quello che viene. Allora io voglio seguire il mio istinto. E soprattutto quello che voglio è seguire il principio di “lasciarla giocare”. Liberarmi dalle mia paure di padre apprensivo per liberare lei, per farla stare al Mondo senza l’angoscia dell’Occhio di Sauron continuamente spalancato su di lei.

L'occhio di Sauron: da il Signore degli Anelli. L'occhio del male sempre spalancato

Quando mi è capitato di vedere i bambini, anche piccolissimi, nei parchi in Svezia, Olanda, Germania, Norvegia ho avuto una illuminazione: quei mini esseri umani sono lasciati liberi di sperimentare e di giocare. Anche nel freddo più glaciale, anche nel fango più limaccioso, anche tra alberi alti e minacciosi, questi bambini “giocano” senza essere irregimentati in sport di squadra pre-costituiti e senza l’iper vigilanza dei genitori. Li vedi fare le cadute più rocambolesche. Li vedi inzaccherati che sembrano combattenti tedeschi in una trincea della prima guerra mondiale. Li vedi, però, felici!

Inorridisco quando sento la mamma italiana che intima al figlio che vuole giocare: “Mi raccomando, non sudare”! C'è un terrore ancestrale della mamma italiana per il sudore. Come se secernere questo “liquido ipotonico” fosse la manifestazione dell’anticristo della buona salute. Mi odierei se non permettessi a Frida di sbucciarsi un ginocchio nel tentativo di acchiappare una piccola amica nell’atto sacrosanto del rincorrersi. Mi farei crocifiggere piuttosto che non permetterle di sporcarsi mentre gioca con dei colori o mentre ruzzola in un campo verde pieno di fiori e altre amenità naturali. 

Questo non è permissivismo senza regole. Non significa farle fare tutto quello che vuole. Ma ribaltare la volontà. Si perché sono io che voglio vederla andare carponi in un prato e sporcarsi con gli umori della natura. Io voglio che stia muso a muso con i cani (certo non quello di un pitbull inferocito). Io voglio giocare con lei con una palla fatta di carta e nastro adesivo. Dipingerci sul corpo con mille colori. Fare a gara a chi si nasconde meglio al buio (così da affrontare anche le paure). Voglio leggere libri insieme e raccontare storie, crearle insieme (io amo i miti greci e da sempre li studio. Piuttosto che le classiche favole per Frida voglio rielaborare quelle narrazioni epiche e gettarmi con lei dentro storie piene di figure magiche, natura selvaggia, passioni travolgenti e bellezza indescrivibile). 

Lo so che siamo messi male in Italia. Sapete che nel suo ultimo rapporto Save the Children ha scritto che solo il 6% dei bambini ha diritto a scendere in strada da solo e soltanto il 25% a giocare in cortile? Che il 51.6% non va in vacanza con la famiglia neppure per una settimana.? Che il 47% non legge nemmeno un libro all’anno (oddio un abominio!)? 

Noi siamo geneticamente, antropologicamente dei cacciatori-raccoglitori. Degli esploratori. Non dei pigiatori di tasti. Allora venendo meno al nostro patrimonio genetico diventiamo più tristi, più depressi, più ebeti, meno creativi. Io ho vissuto tutta la mia infanzia in strada. Erano gli anni ’80, non sono nato nel 1800! Devo ai miei genitori, se non l’indirizzo alla cultura (perché così non è stato onestamente), almeno la grande libertà di potermi sbucciare le ginocchia (e credetemi le mie rotule erano simili a quelle degli zombi di the walking dead) e di esplorare da solo, non un paesino di montagna, ma una città e un quartiere tra i più trafficati e centrali di Salerno. E sono grato a loro perché è quella infanzia libera che mi ha fatto diventare l’uomo che sono oggi.

Non sarà facile probabilmente, ma se non parto con queste intenzioni sarà un fallimento il mio dovere educativo. Se lascerò che Frida sia preda di Peppa Pig e in balia di MammaTv allora come padre sarò un perdente. E ne dovrò subire le conseguenze. Se mi farò scoraggiare dal vivere in una delle Regioni più abbrutite d’Italia (la Campania, con Sicilia e Calabria, è tra le tre peggiori in quanto a spazi verdi e spazi di gioco collettivo), allora alleverò una figlia ingrigita. Ma non lo farò. Impedirò alla mancanza di fantasia e di immaginazione di erodere i colori dalla vita di Frida. Combatterò la paura che paralizza per mettere le ali ai piedi di mia figlia. E una parola, sempre, sarà la chiave con cui aprire tutte le porte: creatività.

Proteggerli, privarli dell’altalena o del pallone, difenderli furiosamente da qualunque sostanza possa sporcarli o contaminarli (dai piccioni alle cartacce ai cani e ai gatti) e consegnare loro una tastiera di qualsiasi genere non vuole dire amarli, ma farli diventare ansiosi e disinteressati. Con la vita e la scuola percepiti come una lunga serie di ostacoli” (Vera Schiavazzi, "La Repubblica" del 30 marzo)