sabato 11 aprile 2015


Il senso in più

Ieri sera stavo guidando quando ho preso coscienza di una novità su me stesso, di un principio di trasformazione del mio essere (niente paura, non è roba da X-men).

Bambini di Berlino - © Manlio Castagna

Simona accanto a me come sempre, da quando è incinta, mi invita alla prudenza. A evitare tutte le buche (le strade del Sud somigliano a quelle di un territorio di guerra, ma mentre queste ultime hanno l'attenuante di essere corrotte da mine e da bombardamenti, le nostre hanno come unica motivazione la strafottenza di chi le costruisce risparmiando su tutto, tranne che sulla imbecillità e sulla delinquente inettitudine). A non sorpassare quei veicoli che procedono a una velocità che sfida tutte le leggi della fisica del movimento: lenti come fanno l'amore le persone molto anziane. 

Mentre guidavo in queste condizioni, io che di solito sorpasso di "default" (anche se davanti a me c'è un calabrone preferisco mettere la freccia e passargli accanto a tutta velocità, piuttosto che schiacciarlo contro il parabrezza), mi sono visto costretto a stare dietro a un serpentone di macchine degno della più becera delle processioni.

Sbuffando interiormente mi sono presto rassegnato. Poi qualcosa ha attirato la mia attenzione. Una bambina nella macchina di fronte che mi guardava attraverso il lunotto posteriore. capelli biondi, occhi grandi, pallida come un'eroina di un romanzo ottocentesco. Aveva la faccia concentrata in uno di quei giochi mentali di cui solo chi li inventa nel proprio cervello conosce regole, dinamiche e scopi. Chi di noi in auto, da bambini, annoiati e sbadiglianti fino allo solamente delle mascelle,  non si produceva in immaginazioni ludiche per annientare l'attesa dell'arrivo a destinazione? 

Nell'abitacolo quella bambina era del tutto "distaccata" dagli adulti seduti sui sedili anteriori. Dando loro le spalle era immersa nei suoi pensieri e in questo gioco dell'osservazione. Sembrava fissarmi in certi momenti, in altri sembrava persa con lo sguardo a pascolare tra le nuvole. In altri momenti ancora potevo notare le sue labbra chiacchierare in un dialogo solitario. 

Guardandola mi sono scoperto a chiedermi: "Frida un giorno somiglierà a questa bambina?". Si produrrà in queste fantasie da auto? Avrà quegli occhi liquidi che nuotano dentro spazi solo suoi? la sorte le donerà dei capelli biondi, ricci come i miei, lunghi e mossi come quelli dalla madre? avrà questa espressione malinconica da romanzo vittoriano o sarà una luminosa moretta dal piglio pestifero?

Da quel momento per tutta la serata, durante la mia passeggiata per Salerno, ho cominciato ad osservare i bambini (le bambine di più) provando a immaginare. Provando ad estrarre dai loro volti, dai loro movimenti, dalle loro espressioni quei tratti che mi piacerebbe rintracciare in Frida. 

Mi sono reso conto improvvisamente di qualcosa di nuovo che mi stava (che mi sta) capitando. Come se mi fosse spuntato un radar in mezzo al petto (non ho mai visto tanti bambini come ieri sera) o come se ai cinque canonici sensi, se ne fosse aggiunto un sesto. Una capacità percettiva diversa attraverso cui guardare al mondo dei bambini. Ho realizzato che con un figlio (una figlia) nasce anche un padre. Un padre è semplicemente un uomo che ha un diverso istinto e una aumentata capacità di percepire armonie e dissonanze laddove prima vedeva solo piccoli omuncoli o donnuncole dai comportamenti bizzarri e spesso incomprensibili. 

Ieri per la prima volta ho guardato ai bambini con empatia e non con un semplice interesse entomologico (come si guardano a degli insetti per decifrarne dei comportamenti). E così ho avuto  l'improvvisa certezza che l'attesa di Frida è un'emozione prolungata, a volte nascosta nelle pieghe del giorno, altre volte affiorante con prepotenza come un albero piantato al centro della strada, ma sempre una condizione costante. Immanente direbbe qualcuno che bazzica con la filosofia.




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